Sono sconvolto, e non poco, da come la questione sull'accompagnamento dei ragazzi delle medie all'uscita di scuola si sia ingigantita fino a diventare un autentico affare di Stato.
A turbarmi non è ovviamente il fatto che se ne parli (anzi, che la scuola torni al centro delle discussioni non posso che auspicarlo con tutto me stesso), ma la pochezza e la meschinità del dibattito.
Perché a rendere così infuocata, sentita e cruciale la faccenda, non è affatto la preoccupazione circa la sicurezza dei nostri ragazzi. Se così fosse si discuterebbe anche (e soprattutto e prima di tutto), con lo stesso piglio e la stessa eco, del numero abnorme di scuole ancora prive delle necessarie misure antisismiche, del numero incalcolabile di scuole ancora non in regola con le più elementari norme di sicurezza.
Al contrario, a muovere questo dibattito fino a farlo diventare affare istituzionale, altro non è che la logica dello scaricabarile, la necessità e la smania di sgravarsi da qualsiasi responsabilità. La scuola non vuole essere responsabile di ciò che accade un metro fuori dall'edificio scolastico e allora chiama in causa le famiglie, che a loro volta insorgono e portano la questione dal provveditore che la rimpalla al ministro, al governo, alla cassazione. E così via.
Un circuito kafkiano reso ancora più paradossale dall'oggetto della discussione. Non si sta parlando dei tagli alla scuola pubblica, della mancanza di strutture, della girandola di supplenti, di un'istruzione spesso inadeguata sotto ogni aspetto. Si sta parlando di adolescenti che tornano a casa da soli. O che da soli percorrono i trenta metri che separano il cancello di scuola dallo Scuolabus. Un problema sinceramente minore. Forse inesistente.
Perché che un ragazzo si faccia male all'uscita da scuola è successo e succederà, quale che sia la normativa in materia (e lasciamo stare le disgrazie, che per fortuna, almeno in questo caso, non rientrano nella casistica e non saranno certo impedite da chissà quale legge restrittiva).
Soprattutto, per un adolescente, il tornare a casa da solo dovrebbe essere una conquista. In termini di crescita, di indipendenza e, soprattutto, di responsabilità. Quella stessa responsabilità che la scuola, in maniera diversa e complementare rispetto alla famiglia, dovrebbe essere in grado di insegnargli.
Ma come è possibile insegnare ai nostri ragazzi a essere cittadini responsabili di sé stessi e degli altri se noi adulti non sappiamo fare altro che rifiutare di assumere qualsiasi tipo di responsabilità?
*** Riccardo LESTINI, scrittore, regista, insegnante, 'facebook', 29 ottobre 2017, qui
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