Giorno. Treno alta velocità. Da qualche parte in Italia. Un signore distinto, seduto qualche sedile più avanti a me, sull’altro lato del corridoio, tira fuori il suo tablet. In base alla giacca elegante, i capelli argentei, la postura seria, dentro di me deduco: il classico professionista che approfitta del viaggio per lavorare. Mentre sono preso da questi pensieri compiaciuti sull’efficientismo professionale, lui accende il tablet. Sullo sfondo dello schermata home si intravede una foto di una donna; l’immagine non è un granché, la donna sembra non giovanissima ed è a letto, rintanata sotto le coperte, come se stesse poco bene. Però ha un sorriso luminoso. Il distinto manager avvicina l’iPad alla bocca e bacia la foto della donna, con precisione, sul volto. Poi si mette a lavorare intensamente.
Rimango per un attimo imbambolato come incapace di coniugare la precedente scena, professionalmente affilata, con il gesto successivo, teneramente innamorato. Lo confesso: il primo pensiero è stato di nobile sdegno: “quanto dovremmo saperci fermare in questa vita in cui andiamo sempre di corsa”, ho pensato... poi però, osservando il tizio lavorare con inusitata concentrazione, ho iniziato a realizzare. Non ero affatto di fronte a un afflato elevato, non era un trasporto sentimentale, una parentesi debole nella solidità dell’homo faber; era invece un un gesto di concreta e solidissima efficienza. Quel tipo con il suo bacio al touch screen illuminato stava ricordando a se stesso (e a noi distratti viaggiatori abitudinari) che la domanda che elimina davvero le dispersioni di tempo non è “come, cosa o quanto fare” ma “per chi?”.
*** Bruno MASTROIANNI, esperto di comunicazione, saggista, facebook, #diariopendolare, 13 ottobre 2017, qui
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