Negli anni cinquanta del secolo scorso, soltanto il 12 per cento dei giovani adulti si dichiarava d’accordo con l’affermazione “sono una persona molto speciale”. Oggi lo è l’80 per cento, quando in realtà stiamo tutti diventando sempre più simili. Leggiamo tutti gli stessi bestseller, guardiamo gli stessi filmoni e indossiamo le stesse scarpe da basket. Se i nostri nonni ancora seguivano i percorsi imposti da famiglia, chiesa e nazione, noi siamo irreggimentati dai media, dal marketing e da uno stato paternalista. Eppure, pur diventando sempre più simili, ci siamo lasciati alle spalle l’era dei grandi collettivi. La frequentazione della chiesa e dei sindacati è crollata, e il tradizionale spartiacque fra destra e sinistra non ha più un grande significato. A noi interessa soltanto “risolvere i problemi”, come se la politica potesse essere esternalizzata ai consulenti di gestione del personale.
Certo, c’è qualcuno che tenta di resuscitare la vecchia fede nel progresso. Che c’è di strano allora se l’archetipo culturale della mia generazione è il nerd, i cui gadget e app simboleggiano la speranza nella crescita economica? “Le migliori menti della mia generazione stanno pensando a come far sì che la gente clicchi sulle pubblicità,” s’è lamentato di recente un ex maghetto della matematica su Facebook.
Intendiamoci: è stato il capitalismo a spalancare i cancelli della Terra dell’abbondanza, ma il capitalismo da solo non può sostenerla. Il progresso è diventato sinonimo di prosperità economica, ma il Duemila ci sfiderà a trovare altri modi per migliorare la qualità della vita. E, visto che i giovani occidentali sono quasi tutti cresciuti in un’era tecnocratica e apolitica, dovremo tornare alla politica se vorremo trovare una nuova utopia.
Sotto questo aspetto, la nostra insoddisfazione attuale mi rallegra perché l’insoddisfazione è lontana mille miglia dall’indifferenza. La nostalgia dilagante, il desiderio di un passato che non è mai realmente esistito, indicano che abbiamo ancora degli ideali, anche se li abbiamo sepolti vivi.
*** Rutger BREGMAN, 1988, storico olandese, Utopia per realisti. Come costruire davvero il mondo ideale, Feltrinelli, 2017
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