Nel mondo antico, il Daimon era una figura proveniente da un altrove, né umana né divina, una via di mezzo tra le due cose, abitante di una regione mediana (metaxu), la stessa dell’anima. Più che un dio, il Daimon era una realtà psichica che aveva intimità con noi: una figura che poteva apparire in sogno, inviare messaggi, come un cattivo auspicio, un presentimento o un impulso erotico. Anche Eros, infatti, abitava quella regione mediana non del tutto divina e tuttavia sempre un po’ inumana. I Greci, perciò, sapevano bene come mai i fenomeni erotici sono sempre di difficile collocazione, celestiali e al tempo stesso crudeli.
“Tu avrai ancora bisogno di me? Mi darai ancora da mangiare quando avrò 64 anni?”(Ritornello della canzone “When i’m 64” dei Beatles). Il modo in cui lo intendiamo di solito è: ti prenderai ancora cura di me quando sarò vecchio? Nel senso di mia moglie, mia figlia o la mia ragazza o qualcun altro, è cosi che pensiamo. Ma questa potrebbe essere anche una canzone mistica, potrebbe essere una canzone del Daimon che dice: “Quando sarai vecchio ti prenderai ancora cura del Daimon?”. Era, voglio dire, il Daimon a cantare, a dire: “Ti prenderai ancora cura di me?”. O forse è la persona che chiede al Daimon: “ti prego, continua a darmi…emozioni, e pensieri, e un destino quando sarò vecchio, mi darai ancora da mangiare? Perché quello che mi ha nutrito per tutti questi anni, io CREDO, sono i miei amori, i miei figli e mia madre e mio padre e mia moglie e cosi via…ma forse quello che mi ha veramente nutrito per tutti questi anni è il mio Daimon… (...)
Il Daimon svolge la sua funzione di ‘promemoria’ in molti modi. Ci motiva. Ci protegge. Inventa e insiste con ostinata fedeltà. Si oppone alla ragionevolezza facile, ai compromessi e spesso obbliga il suo padrone alla devianza e alla bizzarria, specialmente quando si sente trascurato o contrastato. Offre conforto e può attirarci nel suo guscio, ma non sopporta l’innocenza. Può far ammalare il corpo. E’ incapace di adattarsi al tempo, nel flusso della vita trova errori, salti e nodi – ed è lì che preferisce stare.
*** James HILLMAN, 1926-2011, psicoanalista statunitense di matrice junghiana, fondatore della psicologia archetipica, Il codice dell’anima, 1996, Adelphi, 1997
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