Viviamo indiscutibilmente l’era del personal branding “spinto”.
Per “spinto” intendo senza scrupoli, con ogni mezzo a disposizione, con un piglio da guerriglieri pronti a sconfiggere tutto e tutti, più che da professionisti maturi in grado di far parlare le proprie competenze.
I motivi sono innumerevoli e vanno dalla crescita esponenziale del bisogno di visibilità, di staccarsi dal rumore di fondo, dovuto a una concorrenza a dir poco spietata, alla necessità di farsi percepire come autorevoli sullo scibile umano, attivi, sul pezzo, a prescindere dal settore merceologico o dal progetto.
All’interno di questo contesto, nel tentativo (sacrosanto) di raccontare al mondo chi siamo e cosa facciamo in modo innovativo, emotivamente d’impatto e professionalmente accattivante, amplifichiamo qui, tagliamo là, allarghiamo questo, sgonfiamo quello, valorizziamo esperienze durate un’ora, vendiamo per acquisite abilità che, in realtà, sono ancora del tutto in progress.
Insomma: la raccontiamo.
Non è certo meccanismo nato in questi anni, ma diciamo che, in questi anni, salta particolarmente all’occhio, soprattutto grazie alla socialità cibernetica, ai cv online, alle piattaforme professionali e non so se faccia più sorridere o più spaventare, ma sicuramente fa pensare.
Accade, quindi, che gestire un moduletto di 3 ore sul marketing all’interno di un corso di laurea di un anno all’università, è motivo sufficiente ad auto definirci “Professore di marketing alla Sapienza di Roma”, che, in un certo senso, è vero, ma non è proprio così. O che aver effettuato una sostituzione di maternità presso il settore formazione di tot azienda diventi: “responsabile della formazione di tot azienda”.
Chi verrebbe mai a controllare? Poi, semmai, te la giochi in sede di colloquio e aggiusti il tiro su cosa sei davvero in grado di fare perché l’hai già fatto, non perché ipotizzi di riuscire a farlo.
Ma non è forse vero che lavori o progetti ottenuti grazie a piccole bugie, diversamente, non li avremmo mai avuti?
E non è altrettanto vero che, molto spesso, le aziende cercano proprio persone con questo tipo di imprenditività e capacità di vendersi e vendere qualsiasi cosa nello stesso modo?
Da tali considerazioni, nasce la riflessione: quanto spazio c’è per le bugie “fisiologiche” nell’attuale mercato del lavoro?
*** Chiara BOTTINI, consulente, formatrice, scrittrice, Quanto spazio c'è per le bugie "fisiologiche" nell'odierno mercato del lavoro?, 'linkedin.com/pulse', 9 novembre 2015, qui
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