Era un professional di talento: che amava il suo lavoro e dedicava ogni energia a migliorare se stesso e la sua professionalità. Sperava di crescere e sognava posizioni di prestigio, guidare strutture complesse, diventare responsabile di grandi aziende.
Anche i suoi capi davano un giudizio lusinghiero delle sue prestazioni e confidavano molto nelle sue potenzialità. Gli avevano appena pagato un corso intensivo sulla creatività. Lui vi aveva partecipato con impegno: era tornato entusiasta. E subito aveva cercato di mettere in pratica le tecniche apprese.
Aveva dedicato l’intero fine settimana a preparare un piano per il lancio di un nuovo prodotto. Aveva soppesato ogni aspetto, valutando rischi e opportunità. Aveva limato il documento in ogni particolare. Era soddisfatto.
Era convinto di avere avuto una ‘grande idea’.
Lunedì presentò il piano al suo capo. Lui lo lesse senza fare commenti. E gli promise che lo avrebbe presentato al comitato direttivo.
Dopo una decina di giorni, ebbe la risposta che non si aspettava. Il piano era stato rifiutato. La sua ovvia deduzione era stata: non era quella ‘grande idea’ che lui pensava.
Ora il professional si sta confidando con un amico anziano, che conosce bene il mondo delle imprese, avendoci lavorato per qualche decina d'anni.
«Capisci, ho seguito un corso sulla creatività con i migliori consulenti internazionali, ci ho speso l’anima per quindici giorni, ho lavorato per un weekend su una ‘grande idea’ che mi era venuta anche grazie a questa formazione che l’azienda mi ha offerto, e tutto questo non è servito a nulla. La mia ‘grande idea’ non è stata riconosciuta. E’ finita nel cestino della carta straccia».
L’amico era silenzioso.
«Non mi dici nulla? Non ti sembra una cosa assurda?»
Il giovane sapeva che l’amico, più che tranciare giudizi, spingeva a riflettere. E proprio per questo l’aveva voluto incontrare.
Fu accontentato.
«Vuoi sapere cosa ne penso? Di getto, mi vengono almeno tre considerazioni. La prima: tu parli di ‘grande idea’. Forse non lo era e per questo è stata rifiutata. Accade. Ciò che a noi pare in un modo, non sempre è così anche per gli altri. Sai meglio di me che valutare la fattibilità di un’idea richiede un’analisi complessa. Che tenga conto di ‘tutti’ gli elementi. Forse tu non eri in grado di averli ‘tutti’. E per questo il piano è stato bocciato. Ciò che non mi pare utile, oltre che rispettoso nei tuoi confronti, è che non venga spiegata la ragione del rifiuto. Penso che tu abbia ragione nel pretendere che ti venga argomentato il no».
«La seconda considerazione?»
«Forse era davvero una ‘grande idea’. O, come io preferirei chiamarla, una ‘buona idea’».
«Ma allora perché l’avrebbero bocciata?»
«Appunto perché era una ‘buona idea’. Magari qualcun altro avrebbe voluto (o dovuto) averla al tuo posto. Il tuo capo. Il direttore commerciale. Lo stesso direttore generale. Non l’ha avuta e ha bocciato la tua. Anche questo accade. E’ stupido, naturalmente. Oltre che miope. Ma le aziende sono fatte di persone anche meschine, che non sempre riescono a essere ‘contenute’ da chi dovrebbe farlo, oppure, quando necessario, specie se occupano posizioni di responsabilità e di potere, non sempre sono messe in grado di non nuocere, o addirittura sono eliminate. E poi le aziende sono vittime colpevoli, sempre più spesso, di visioni corti. In qualche caso pure presbiti.»
«Quindi in questo caso, la mia idea avrebbe dato fastidio».
«Può essere. Sempre che non siamo nel caso della prima ipotesi: più spiacevole per te, ma sempre possibile».
«E la terza considerazione?»
«In qualche modo rimanda alla prima e alla seconda riflessione. Riguarda l’espressione ‘grande idea’. Forse le idee che servono, nelle aziende, non devono essere ‘grandi’, ma ‘buone’. Che è un aggettivo facile da usare, ma difficile da riempire di contenuti precisi.»
«Infatti. Che significa un’idea ‘buona’? C’è molta soggettività in questa definizione…».
«Vero. E del resto, con buona pace di chi crede di ridurre tutto a numeri e misure, la soggettività è ineliminabile. Solo, in parte, controllabile».
«Controllabile… come?».
«Anche partendo dall’assunto che, appunto, esiste la soggettività. E può influenzare l’analisi. La consapevolezza - lo ripeto spesso quando giro per le aziende -, magari non risolve, ma aiuta. Pure in questo caso. A tenere a freno la soggettività: se mi passi la battuta, mettere esplicitamente in conto la soggettività è già un modo per farci i conti. Ma torniamo al concetto di ‘buona idea’. Intanto una precondizione è la praticabilità. Se no, sarà un’idea anche splendida, ma che all’azienda non serve. Forse un criterio di valutazione è il grado di innovatività. Talvolta ci si innamora del ‘troppo’. Come può accadere quando ci si convince di avere partorito appunto una ‘grande idea’. Troppo distante dalla realtà. Troppo avanti rispetto all’oggi. Altre volte invece il troppo non è troppo: fa solo paura l’idea. E la si rimuove con la scusa del troppo. Magari, in nome di un pragmatismo più bestemmiato che correttamente inteso, si accusa l’idea di essere un sogno, un’utopia. E così si chiude la bocca a chi la propone, e ci si rintana nel presente: per difesa, conservazione. Si aspetta. Mentre il mondo va avanti. E lui, il mondo, sì che non ti aspetta.
Il giovane rifletteva.
Non era impaziente.
Sperava però di avere qualche indicazione di comportamento.
«Quindi…?»
«Quindi, la conclusione pare semplice, ma è difficile come tutte le cose semplici. Ci vorrebbe una innovatività ‘giusta’. Altro aggettivo che indica più un suggerimento che una misura. Perché la ‘giustezza’ non te la dice il manuale. E dipende da quanto sai rischiare unendo fantasia e concretezza. Un ossimoro, in qualche modo. L’ennesimo della vita».
L’amico sorrise: «Non ti ho aiutato molto…».
Il professional restava assorto.
Una cosa aveva capito.
Per capire meglio doveva avere più informazioni.
Le doveva pretendere.
Sarebbe servito all’azienda.
Sarebbe servito a lui.
* * *
Molti giovani, in quegli anni, si ritrovavano con la stessa determinazione di questo professional.
E ci provarono.
Più volte.
A far avanzare le loro idee.
‘Grandi’ o ‘buone’ che fossero.
E a esigere spiegazioni sulle decisioni che venivano prese sopra di loro. Per capire i perché. I perché dei sì e i perché dei no.
Tutto questo avveniva tanti e tanti anni fa.
Quando c’erano ancora le imprese.
Poi, non si capirono le ragioni, le imprese scomparvero.
Ed erano scomparsi anche i giovani professional simili al protagonista di questa storia.
O, forse, appunto per questo, le imprese scomparvero.
*** Massimo Ferrario, La 'grande idea', 2013-2015 – Rielaborazione originale a partire da uno spunto contenuto nella favola di Vhan Rhopa, Il management risentito, in Vhan Rhopa, Lo zen e l’arte aziendale, Lupetti editore, Milano, 1993.
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