Le aveva provate tutte, Sakìm. Ma nessuno, neppure per sbaglio, metteva piede nel suo negozio.
Neanche i ladri. Contro cui Sakìm aveva sempre pronto del pepe nero, l’arma infallibile d’Oriente: da buttare negli occhi per spaventarli e farli fuggire. Ma non ce n’era bisogno.
E sì che vendeva tessuti pregiati: li faceva arrivare da un artigiano segreto, che sapeva ancora usare un’arte raffinata, tramandata da generazioni.
Erano lenzuola di lino, tele damascate, trapunte imbottite, cuscini ricamati, stoffe e tende preziose per arredamenti.
Lui, Sakìm, fuori ritto in piedi sulla stretta via che passava in mezzo alle case del centro del villaggio, invitava a entrare nel piccolo negozio.
Per allettare i potenziali clienti, ripeteva a voce alta, davanti alla bottega, ciò che aveva scritto nel cartello affisso in vetrina: «Entrate liberamente: tutto a prezzi irrisori.»
Poi aggiungeva, avvicinandosi ai passanti per cercare di invogliarli: «Siete i benvenuti, la porta è aperta. Scoprirete che anche i più poveri possono trovare la merce che fa per loro. Le cose più belle qui non costano nulla».
Ma non entrava nessuno.
Un giorno, una nave carica di tessuti antichi e preziosissimi, era naufragata nel vicino fiume. Sakìm era riuscito a procurarsene una grande quantità. Li aveva lavati e asciugati con cura e poi, come incentivo promozionale, li aveva proposti al pubblico, praticamente in regalo: giusto un soldo, con cui non si sarebbe ripagato neppure la fatica.
Ma anche in quel caso non aveva conquistato un cliente.
Sakìm era disperato. Aveva moglie e cinque figli da mantenere. Aveva lasciato il vecchio lavoro di muratore sperando di guadagnare con il negozio. Invece…
Quella sera, proprio un minuto prima della chiusura, una bambina era entrata nella bottega.
Sakìm le si era fatto subito vicino.
«Mi chiamo Sakìm, bella bambina. Posso esserti di aiuto?».
Intanto si guardava in giro, alla ricerca di un adulto che la accompagnasse e che fosse interessato ad acquistare.
Poi chiese con voce dolce e trepidante: «Stai aspettando la mamma?».
La bambina disse di essere sola. Girava per il villaggio. Le piaceva curiosare tra le botteghe.
Guardò i tessuti: li accarezzò delicatamente con le dita, se li avvicinò al viso per assaporarne la morbidezza.
«Mi chiamo Aisha. Hai cose bellissime, Sakìm. Non sembrano prodotti fatti da uomini, ma da divinità. Immagino che la tua bottega di giorno sarà piena di gente che vorrà contendersi questi capolavori».
Sakìm fu lusingato dall’apprezzamento. Ma depresso com’era da giorni e colpito dall’aria fresca e schietta della bambina, si lasciò andare ad un momento di confessione.
«Fosse vero, bambina mia. Nessuno vuole queste meraviglie. Ho cercato in ogni modo di farle conoscere. Ma forse ho sbagliato paese. Qui nessuno ha il gusto del bello».
La bambina ascoltò in silenzio.
Poi vide, in vetrina, il cartello: «Tutto a prezzi irrisori».
Sorrise. E, senza accorgersi, scosse la testa.
Sakìm notò il gesto. Questa bambina lo intrigava.
«Qualcosa non va?».
«Io toglierei quel cartello, Sakìm. E moltiplicherei per dieci il prezzo di ogni cosa.»
Il sole era calato e cominciava a fare buio. Era ora di accendere la luce.
Sakìm si era voltato per andare alla parete a girare l’interruttore.
Mentre faceva i due passi necessari, gli sfuggì il commento: «Moltiplicare per dieci i prezzi, mia cara? Ma così non comprerà nessuno.»
Ecco, ora la bottega era illuminata.
Sakìm rifece i due passi per avvicinarsi alla bambina, là dove l’aveva lasciata.
Abbracciò con lo sguardo tutto il negozio. Era piccolo, nulla poteva nascondersi.
La bambina era sparita.
Si precipitò sulla via per cercarla.
Ma la strada, a quell’ora, era buia e silenziosa come sempre.
* * *
L’indomani Sakìm si svegliò tardi.
Aveva passato la notte insonne, chiedendosi se l’incontro con la bambina fosse stato reale, oppure solo un sogno. Eppure il viso di Aisha, così nitido e accattivante, gli era rimasto stampato nel cuore: non poteva essere stata solo un’illusione.
Scese le scale dell’appartamento, situato sopra il negozio, ancora stordito.
Era in ritardo di una buona mezz’ora sull’orario di apertura.
La prima cosa che notò fu il cartello, in vetrina.
Era nuovo: il suo vecchio era sparito.
La grafia non era sua. I caratteri erano d’oro: arabescati.
In grande c’era scritto: «Solo qui troverete le bellezze divine che avete sempre cercato».
Poi, più in piccolo: «Dieci soldi per vederle. Ma se vorrete, le potrete anche comprare».
La seconda cosa che vide fu la coda. Fuori dalla bottega.
Tutti facevano ressa per entrare.
*** Massimo Ferrario, 2013-2'15, per Mixtura - Rielaborazione creativa di un racconto di Eduardo Galeano, 1940-2015, giornalista, scrittore, saggista uruguayano, Finestre, “il manifesto”, 2 gennaio 2001.
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