Leggo dalla rete, diffusa da qualche consulente, la seguente citazione:
«Ricorda che la felicità non dipende da chi sei o da cosa hai. Dipende solamente da cosa pensi.» (Dale Carnegie).
Ecco un esempio di ‘pensiero positivo’, che riesce ad essere nello stesso tempo pericoloso e cretino. Soprattutto quando viene firmato da personaggi ‘venduti’ come autorevoli.
Quando smetteremo di negare/rimuovere il peso duro della realtà, incitando a superarla con la sola illusione?
Quando smetteremo di colpevolizzare i singoli perché non sanno adattarsi, con felicità, alla realtà ‘negativa’, anziché spingerli, se mai, a cambiare la realtà per renderla più ‘positiva’?
Un conto è sostenere, giustamente, che il pensiero influenza la realtà. Un conto è far passare come verità indiscutibile che il pensiero, da solo, cambia la realtà, rendendola ininfluente.
Io amo le citazioni e gli aforismi. Li uso e ne costruisco. Quotidianamente.
Però l’aforisma non deve limitarsi a ‘suonare bene’: essere (o fingere d’essere) originale. E la paradossalità deve comunque avere un ‘buon senso’: cioè una ‘buona direzione’.
Abbiamo bisogno di pensieri che incidano su noi e la realtà: non che si limitino a consolarci. Magari colpevolizzandoci se non riusciamo a farlo. Così da sentirci bene anche dentro le realtà più tossiche. E così da non disturbare, con le nostre insoddisfazioni da cui potrebbero scaturire azioni di cambiamento necessarie per rendere queste realtà meno tossiche, i veri ‘responsabili’ del nostro disagio. Quando questo ha origini ‘oggettive’, non ‘psicologiche’.
Le parole sono importanti. Perché, facendo cultura, sono concrete. E la cultura è il vero nocciolo duro della realtà.
Non reagirei con l'insofferenza con cui sto reagendo se il 'solamente' del finale della frase sopra riportata fosse stato sostituito da un 'anche'.
Non è lana caprina. E' sostanza. Ovviamente.
E lo può capire chiunque abbia un pensiero. Anche ‘positivo’. Ma non stupido.
Le cosiddette popolazioni primitive (ad esempio i 'nativi americani': prima che venissero sterminati in uno dei tanti genocidi della storia, sempre ovviamente dimenticato) avevano un pensiero 'confidente', che li aiutava ad affrontare le difficoltà del mondo e le dure asperità della natura. Era un pensiero serio: perché non falsificava la realtà, ma aveva fiducia che la realtà potesse essere anche diversa da come era. Perché confidava nella forza dell'uomo: che però era una forza non isolata dal resto del mondo, ma facente parte di un tutto in cui tutto era in interdipendenza.
Ricordo mia nonna: che possedeva una fede naïf e genuina, grazie a cui, da orfana abbandonata sulla ruota di un convento (all'epoca, per sua fortuna, non erano ancora di moda i cassonetti della spazzatura), si è rimboccata le maniche per tutta la vita (superando due guerre mondiali) e se ne è andata a 95 anni con un atteggiamento sorridente e 'naturalmente accogliente' verso la morte che sarebbe da insegnare a tutto l'Occidente onnipotente e narcisista dei giorni nostri.
Io credo che un pensiero 'fiducioso' come questo sia 'psicologicamente' importante. Perché ti spinge a trovare forza e motivazione.
Ma questo pensiero non ha nulla a che fare con la declinazione, becera, che ne è stata fatta da troppa consulenza americanoide, che tuttora smercia pillole di 'pensiero positivo' confezionate con uno psicologismo d'accatto più o meno new-age.
Di fronte a un bicchiere metà pieno e metà vuoto mia nonna diceva che era metà pieno e metà vuoto. Partiva cioè dalla realtà: riconoscendola per ciò che era. Ma nello stesso tempo, appunto grazie alla sua visione fondamentalmente 'fiduciosa' in se stessa e nel mondo, diceva a se stessa che, con l'aiuto di Dio ('Dio vede e provvede') e con l'impegno personale ('aiutati che Dio ti aiuta'), lei avrebbe potuto cercare di riempirlo, quel bicchiere, magari fino all'orlo. E forse ci sarebbe riuscita. Comunque ci avrebbe provato. E se non ci fosse riuscita, poco male: magari la prossima volta... Insomma, nessuna disfatta definitiva.
Mia nonna non conosceva, per sua fortuna, la parola 'vincente'. E forse per questo, nella sua vita, 'vincendo e perdendo', cadendo e rialzandosi, ce l'ha fatta: a vivere, restando 'umana', sempre un po' povera di soldi, ma ricca di 'anima'. Cioè di umanità. E insegnando che 'a tutto c'è rimedio fuorché all'osso del collo'.
Non negava il bicchiere semivuoto per non deprimersi.
Partiva dalla realtà: bicchiere a metà. Niente rimozione o negazione.
Oggi, invece, qualcuno ti fa capire che se lo pensi pieno, il bicchiere si riempirà.
O comunque, guai a pensarlo per come lo vedi se non vuoi bloccare le tue energie. Anzi, il sedicente pensiero positivo, nella traduzione più rozza (che però è quella che gira e 'piace' tanto non solo a consulenti e manager), ti suggerisce che in fondo quel bicchiere è già oltre la metà. E se lo guardi meglio, è quasi pieno. Praticamente già pieno. E se qualcuno interviene per smentire, riportandoti ai 'dati', è un pessimista, un disfattista, un provocatore. Quando non (nella accezione che al momento gode pure di ufficialità istituzionale) un incrocio tra un gufo, un rosicone e un frenatore.
E se poi tu non ce la fai a riempirlo, questo benedetto bicchiere, perché l'acquedotto continua a non funzionare e lo Stato si fa ricattare dalla mafia o comunque è inefficiente e non ti assicura il diritto all'acqua come bene comune, il problema sei tu. Che non trovi il modo di essere felice lo stesso. Pensando di non avere sete o inventandoti di esserti dissetato. O visualizzando immagini rilassanti: prati verdi, acque limpide, sole e frescura che ti coccolano.
Insomma, fai ciò che vuoi. Basta che non ti azzardi a protestare, né con lo Stato né con la mafia.
*** Massimo Ferrario, Pensiero 'positivo' e pensiero 'cretino', per Mixtura
*** Massimo Ferrario, Pensiero 'positivo' e pensiero 'cretino', per Mixtura
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