C'era una volta, in un Paese molto lontano e molto vicino a noi, un piccolo villaggio abitato solo da contadini, che vivevano felici coltivando i campi e allevando il bestiame.
Un giorno, il figlio del contadino più anziano partì per un lungo viaggio alla scoperta del mondo.
Stette via molti mesi e quando tornò tutto il villaggio fece festa per tre giorni e tre notti. Tutti volevano sapere dal giovane cosa avesse visto e il giovane non finiva mai di raccontare. Ma una cosa, in particolare, aveva colpito l’immaginazione dei contadini: il fatto che il ragazzo avesse scoperto l’esistenza di strani oggetti chiamati monete. Lontano, in posti che venivano chiamati città, la gente infatti non si scambiava più prodotti – frutta, ortaggi, animali, manufatti -, ma soldi. Al ragazzo luccicavano gli occhi, mentre parlava di tante monete d’oro che aveva visto girare di mano in mano tra persone che portavano vesti incredibilmente ricamati e mostravano gioielli stupendi.
Poi le feste finirono e ognuno riprese la vita di sempre.
Ma il giovane conservava un’immagine fissa in testa: quella delle monete. Continuava a pensarci. Non vedeva altro. E una mattina, appena sveglio, vide che le monete, nella sua testa, si trasformavano in denaro.
Poi, fu come se il denaro fuoriuscisse dalla testa: non fosse più un’idea, non fosse più denaro, ma divenisse realtà.
E fu in quel momento che il denaro si trasformò in animale: un animale vero, in carne ed ossa, con tanto di corna e mammelle, ma con la pelle d’argento lucente: come le monete che il ragazzo aveva visto in città.
Nel villaggio era nata una nuova mucca: la chiamarono Mucca d’Argento.
Tutti i contadini si raccolsero attorno al nuovo animale: stupiti, incuriositi, affascinati. E insieme con il giovane si diedero subito da fare per accudirlo, decidendo di allevarlo come ogni altra bestia.
Ben presto, però, si accorsero che il nuovo animale cresceva in maniera incredibile e aveva bisogno di spazi sempre maggiori: l’aria non era mai sufficiente. E così l’acqua. E il cibo: che doveva essere sempre più abbondante e proveniente dai pascoli più ricchi.
Ma Mucca d’Argento si faceva amare. Anche perché, sempre più spesso, ad ogni pasto, al posto del latte, in maniera misteriosa, lasciava cadere dal corpo piccole monete: d’argento, appunto. Che la gente subito faceva a gara a raccogliere e a portarsi a casa.
Così a Mucca d’Argento fu riservato lo spazio di una fattoria intera, che abbracciava l’intera collina e copriva la parte centrale del villaggio, dove passava il fiume che serviva a irrigare i campi. E molti contadini, i più poveri, con il compenso di una moneta a testa, dovettero accettare di trasferirsi in zone più lontane, decentrate, in terre meno fertili e più sassose.
Intanto, nel Paese si era diffusa la notizia della presenza di Mucca d’Argento. E il villaggio divenne oggetto di viaggi continui di governanti, che desideravano conoscere da vicino il nuovo animale e si preoccupavano della sua salute. E naturalmente volevano anche loro un po’ delle monete d’argento di cui avevano sentito parlare.
Trascorsero mesi. Finché il governo decise che Mucca d’Argento doveva dare origine a una nuova razza. Furono svolte ricerche ovunque, per trovare un toro adatto all’accoppiamento, ma senza esito. Tutti i tori esistenti erano tori normali: e per avviare la nuova razza ci voleva un Grande Toro.
Ma come crearlo? Fu coinvolto il ragazzo che pensando intensamente alle monete aveva fatto nascere Mucca d’Argento. Lui provò ripetutamente a concentrarsi, ma non accadeva nulla. Finché una mattina, forse perché il pensiero era stato più limpido e profondo, avvenne il prodigio: e si materializzò un toro. Enorme. Possente. Della stessa razza di Mucca d’Argento. Ma con la pelle d’oro.
Gli venne fatta conoscere la sua compagna. E i due animali si accoppiarono subito.
I festeggiamenti durarono una settimana. Il Presidente del Governo si rallegrò con il ragazzo e lo riempì di doni. A lui venne lasciato il privilegio di dare un nome al Grande Toro e lui rispose pronto: Bottom. Non ne sapeva la ragione, ma disse che gli piaceva.
Era nata una nuova razza di mucche. D’oro e d’argento. Non producevano latte, ma monete. E su tutti, troneggiava Bottom: per il quale il tempo sembrava non passare. E infatti, la gente ormai sussurrava fosse immortale.
Venivano da ogni parte del Paese: i bambini per osservare da vicino la maestosità di Bottom e gli adulti per portarsi via le monete, sempre più numerose, d’argento e d’oro, che venivano prodotte.
Finché un giorno, mentre al solito una folla reverente era intenta a guardarlo, Bottom parlò. E tra l’incredulità di tutti, con voce profonda ma nitida, disse che voleva essere onorato come un dio: pretendeva un tempio e che tutti gli si avvicinassero in ginocchio.
Prima ci fu sbigottimento, poi molti dissero che era giusto, infine tutti si prostrarono.
In una settimana, lavorando anche di notte, fu elevato un tempio. E Bottom fu onorato come un dio.
Ma presto Bottom riparlò. Non voleva soltanto musiche e danze. Pretendeva sacrifici. Però non animali: umani. Altrimenti, niente più monete, né d’argento né d’oro.
Lo sbigottimento fu massimo. Tutti, increduli e disgustati, dissero di no. Poi qualcuno ricordò le monete. E molti pensarono che forse... Finché la maggior parte disse che era giusto. E anche il Presidente del Governo decretò che nell’interesse supremo del Paese occorreva acconsentire.
Tutti acconsentirono.
E Bottom iniziò ad essere venerato con sacrifici umani.
* * *
Da quel giorno, ogni giorno, in quel paese tanto lontano ma tanto vicino, centinaia di persone, in fila, attendono di essere sacrificate.
E’ divenuta una normalità, quella coda. Ed è una coda che si ingrossa, si ingrossa, si ingrossa...
E ai bambini che chiedono cosa ci fanno tutte quelle persone in fila, i genitori che hanno avuto la fortuna di sfuggire, per il momento, alla coda, rispondono sempre più preoccupati che sono quelli della fila di Bottom. I condannati della fila di Bottom.
Quelli della “Bottom line”.
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