Nel nesso felicità-amore credo che le donne si trovino avvantaggiate, sia perché possiedono, come riconosce Dante nel Convivio, un particolare «intelletto d'amore» sia perché sono disposte a pagarne i costi in termini di dedizione, di sacrificio e, magari, di delusione. Emerge, dalla loro storia, una pretesa di felicità che le rende forti, coraggiose, pronte a ricominciare, mentre gli uomini soggiacciono più facilmente alla stanchezza e alla rassegnazione.
Come Penelope, sanno tessere la tela dell'attesa, consapevoli che la felicità non è mai preclusa e mai conclusa. Persino quando la morte sembra ormai l'unico traguardo, nell'intimità, nell'amore, nella partecipazione al futuro di chi resta, si possono vivere momenti d'inattesa felicita.
Per Aristotele solo alla fine del viaggio, quando la vita è giunta al termine della sua narrazione, potremo asserire di essere stati davvero felici, di aver avuto una vita felice. Ma noi, oggi, non pretendiamo tanto: la nostra esistenza si è fatta troppo lunga e complessa per essere incastonata per intero nella cornice della felicità.
Ci basta riconoscere di avere avuto una vita abbastanza buona, sentire che gli elementi positivi hanno prevalso su quelli negativi, che la nostra felicità non ha comportato l'infelicità altrui e che, con le nostre opere, abbiamo restituito quanto, nascendo, abbiamo ricevuto dalle generazioni precedenti.
Il resto è destino.
Come Penelope, sanno tessere la tela dell'attesa, consapevoli che la felicità non è mai preclusa e mai conclusa. Persino quando la morte sembra ormai l'unico traguardo, nell'intimità, nell'amore, nella partecipazione al futuro di chi resta, si possono vivere momenti d'inattesa felicita.
Per Aristotele solo alla fine del viaggio, quando la vita è giunta al termine della sua narrazione, potremo asserire di essere stati davvero felici, di aver avuto una vita felice. Ma noi, oggi, non pretendiamo tanto: la nostra esistenza si è fatta troppo lunga e complessa per essere incastonata per intero nella cornice della felicità.
Ci basta riconoscere di avere avuto una vita abbastanza buona, sentire che gli elementi positivi hanno prevalso su quelli negativi, che la nostra felicità non ha comportato l'infelicità altrui e che, con le nostre opere, abbiamo restituito quanto, nascendo, abbiamo ricevuto dalle generazioni precedenti.
Il resto è destino.
*** Silvia VEGETTI FINZI, psicologa e psicoterapeuta in psicologia dinamica, Si può ancora essere felici?, Corsivi Corriere della Sera, ebook, 2013.
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