Stanno tutti col naso all’aria, con gli occhi fissi sul quadrante giallo dell’orologio. Da Rua do Primeiro de Dezembro un gruppo di ragazzi avanza sbattendo coperchi di pentole, sbleng, sbleng, e altri fischiano, striduli. Fanno il giro della piazza della stazione, si fermano sotto il portico del teatro, sempre soffiando nei fischietti e battendo con le latte, e questo baccano si unisce a quello delle raganelle, gra-gra-gra-gra, mancano quattro minuti alla mezzanotte, ahimè la volubilità degli uomini, così gelosi del poco tempo che hanno da vivere, sempre a lamentarsi che siano corte le vite, lasciando alla sola memoria un bianco suono di spuma, ed eccoli qui impazienti perché passino questi minuti, tanto grande è il potere della speranza. C’è già chi grida per puro nervosismo e l’agitazione aumenta quando dalla parte del fiume si comincia a sentire la voce profonda delle navi ormeggiate, dinosauri che urlano con quel mugghio preistorico che fa vibrare lo stomaco, sirene che emettono grida lancinanti come animali sul punto di essere sgozzati, e i clacson delle automobili lì vicino strepitano impazziti, e i campanelli dei tram tintinnano a più non posso, finalmente la lancetta dei minuti copre la lancetta delle ore, è mezzanotte, l’allegria di una liberazione, per un breve istante il tempo ha abbandonato gli uomini, li ha lasciati vivere liberi, soltanto assiste, ironico, benevolo, eccoli lì, si abbracciano gli uni con gli altri, conoscenti e sconosciuti, si baciano uomini e donne a caso, sono questi i baci migliori, quelli che non hanno futuro.
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