Poco fa leggevo su Facebook il commento di un mio contatto, una collega di maniere civili e di non nascoste simpatie renziane, che chiudeva le comunicazioni social per il «troppo odio» che aveva visto, diceva, sulla questione referendum.
In effetti, è stata una giornata di cesura di una stagione politica, in Italia.
Altro che trivelle entro le 12 miglia, concessioni, combustibili fossili.
È stata una giornata in cui si è visto in modo plastico come mai prima un muro di odio, sbeffeggiamenti, insulti, irrisioni, maramaldeggiamenti, controinsulti, livori, gestacci e molto altro, tra i renziani e gli antirenziani.
È stata la giornata in cui la distanza tra favorevoli e contrari al premier è diventata probabilmente incolmabile, definitiva, irrecuperabile. Perché è passata dalla categoria della politica a quella dell'emotività. Dell'odio appunto.
Naturalmente si tratta di una contrapposizione asimmetrica.
Da una parte c'è un gruppo organizzato che ha il partito di maggioranza relativa, il premier, il governo e il sottogoverno. Dall'altra parte c'è una galassia priva di una sua identità politica unitaria: un misto di sinistra e pentastellati, ma non solo. Perfino alcuni ancora nel Pd. O appena usciti, da pochi mesi o poche settimane.
Tra questi due universi si è creata oggi una contrapposizione di una virulenza mai vista prima: nemmeno sul Jobs Act, nemmeno sull'Italicum, neppure sulla riforma del Senato.
Forse è accaduto oggi perché si trattava di un referendum, quindi aveva a che fare con i comportamenti di ciascuno. Forse semplicemente perché i tempi erano maturi: mesi di contrapposizioni sempre più aspre, venute a galla in un giorno. Anzi, esplose in un giorno.
In realtà, non è che si può puntare il dito più di tanto su quel bullo sciagurato di Ernesto Carbone, con il suo già mitico #ciaone. E nemmeno su Fabrizio Rondolino, con i suoi tweet da hooligan. O su gli altri, a seguire. Il referendum è stato semplicemente un detonatore di mondi che hanno iniziato da tempo a detestarsi e poi lo hanno fatto sempre di più, fino all'esplosione di oggi.
Questo è il vero risultato del 17 aprile, ci piaccia o no.
Siamo un po' tornati, per violenza e personalizzazione della contrapposizione, a quando c'era Berlusconi. Ma lui si era autoqualificato dal '93 come leader di centrodestra, sicché la divisione in due del paese si sovrapponeva, grosso modo, con i due schieramenti politici di riferimento. Centrodestra e centrosinistra, appunto. Adesso lo scontro tra renziani e anti renziani è invece, appunto, asimmetrico.
Tuttavia nel secondo schieramento, quello avverso a Renzi, c'è una forza più forte degli altri, se mi si perdona l'allitterazione. Che è il Movimento 5 Stelle.
È quindi molto probabile che, dopo la giornata di oggi, la personalizzazione e l'imbarbarimento dello scontro portino a incanalare sempre di più in questo partito la maggior parte delle forme di avversione a Renzi. Almeno al momento del voto.
Non è né un mio augurio né una mia paura: è una probabilità che mi sembra stare nelle cose.
In ogni caso, il Pd di Renzi oggi ha perso definitivamente ogni rapporto con la sinistra. Che è sbandata e diasporizzata da anni, d'accordo, ma che da oggi sta con entrambi i piedi dall'altra parte del muro, di quel muro di odio che si è creato.
Questo non vuol dire che l'elettorato di sinistra da domani voterà in blocco il M5S. Tuttavia molto, molto difficilmente ascolterà le richieste di "voto utile", quando dal Nazareno arriveranno. E a un eventuale ballottaggio, nelle città come a livello nazionale, andrà in parte con il M5S e in parte diserterà le urne, restituendo il favore di oggi.
Lo inizieremo a vedere già con le città, tra meno di due mesi, dove andrà l'elettorato di sinistra. E non sto parlando soltanto di quello della sinistra radicale, naturalmente, che è poca cosa. Ma di un altro 10 per cento almeno di cittadini di sinistra che oggi hanno votato e che sono stati per questo sbeffeggiati e umiliati dai manganellatori di Palazzo Chigi.
Lo vedremo nelle città, Roma in testa. Ma anche Napoli. Perfino a Milano, dove il M5S quasi non esiste, Sala sta rischiando: perché una parte dell'elettorato di centrosinistra al ballottaggio andrà altrove. E a Torino il povero Fassino sta facendo come un matto per portare la campagna sulle questioni locali, facendo finta che non esista Renzi, altrimenti con Appendino va al fotofinish.
Questo è l'effetto della personalizzazione di tutto su Renzi (da lui molto benvenuta se non stimolata) unita all'arroganza e alla tracotanza della sua classe dirigente. Ma anche del premier medesimo: il "maleducato di talento", come lo ha definito Ferruccio de Bortoli. I suoi colonnelli in fondo non ne sono che imitatori, per quanto meno talentuosi.
Ecco, a proposito: per tutte le ragioni di cui sopra, io non sono affatto sicuro che quello che oggi è successo fuori dalle urne sia a somma positiva, alla fine, proprio per chi ha dato il via sghignazzando al sabba delle insolenze.
*** Alessandro GILIOLI, giornalista e saggista, Dopo il sabba delle insolenze, blog 'piovono rane', 17 aprile 2016, qui
In Mixtura altri 7 contributi di Alessandro Gilioli qui
Nessun commento:
Posta un commento