mercoledì 6 gennaio 2016

#SENZA_TAGLI / Caso Cucchi, ma facebook non è una gogna (Carlo Bonini)

La famiglia Cucchi merita il rispetto del Paese. E alla famiglia Cucchi, da sei anni, è ancora dovuto l'unico risarcimento possibile da parte di uno Stato che si voglia e non si dica soltanto di diritto. L'accertamento delle responsabilità di chi uccise Stefano. Per questo motivo, la scelta di Ilaria Cucchi di postare sul proprio profilo Facebook la foto di uno dei carabinieri accusati nella nuova inchiesta della Procura di Roma della morte del fratello è stato un errore. Perché è il cedimento umano, ma esiziale, a quella forma di violenza intollerabile e contagiosa come la peste che consegna un individuo ad un processo sommario. La stessa di cui Stefano è stato vittima da vivo e continua ad esserlo da morto.

Ilaria è donna intelligente, non mossa dall'odio, e nel raccontare a Repubblica le ragioni di quella scelta ha dimostrato di comprendere subito quale confine quel post rischiasse di oltrepassare. E, del resto, oggi, ne misura lei per prima gli effetti perversi. In un diabolico capovolgimento delle parti, dovrà difendere se stessa e la sua famiglia in un tribunale (lei che in tribunale va chiedendo giustizia da sei anni) dalla querela per diffamazione dell'uomo accusato dell'omicidio di suo fratello.

È uno spettacolo avvilente. Che dimostra cosa accada quando uno Stato di diritto non è in grado di spiegare a una famiglia per quale motivo le ha ammanettato un figlio sano per riconsegnarlo cadavere. E che interpella il convitato di pietra di questa vicenda. L'Arma e il suo comandante generale Tullio Del Sette. Il 12 dicembre, il generale Del Sette ha usato parole di vicinanza per i Cucchi, di condanna per quanto accaduto, salvo dirsi preoccupato per la "possibile delegittimazione di migliaia di carabinieri". Sarebbe stato più utile - e forse avrebbe fermato la mano di Ilaria - chiedere pubblicamente scusa (lo fece ad horas il Capo della Polizia Antonio Manganelli per Federico Aldrovandi e Gabriele Sandri, dimostrando di aver compreso la lezione del G8 di Genova). E non certo per anticipare o condizionare l'accertamento delle responsabilità da parte di un tribunale. Ma per le oscenità, le falsità e la consapevolezza dell'impunità documentate dalle intercettazioni a carico dei carabinieri oggi accusati dell'omicidio di Stefano. Sarebbe stato più utile informare il Paese e la famiglia Cucchi se quei carabinieri siano stati o meno sospesi dal servizio e per quali motivi il maresciallo Roberto Mandolini, dopo aver coperto i propri uomini e mentito in corte di assise inquinando la ricerca della verità, possa ancora oggi discettare sul proprio profilo Facebook su chi fosse Stefano Cucchi e cosa accadde la notte in cui cominciò a morire in una caserma dell'Arma.

Facebook non è e non deve diventare né un tribunale, né una gogna. Ma chi veste un'uniforme, una toga o un camice bianco non si nascondano dietro il post di una donna che chiede solo di sapere chi le ha portato via il fratello.

*** Carlo BONINI, giornalista, Caso Cucchi: ma i social non sono un tribunale o una gogna, 'la Repubblica', 5 gennaio 2015, qui

Nessun commento:

Posta un commento