«Alle ragazze d'oggi forse non farebbe male sapere la loro storia». Lo scrive Natalia Aspesi nella prefazione a Delle donne non si sa niente (Il Saggiatore). Che è in realtà la riedizione di La donna immobile, un libro del 1973 che ha segnato una fase importantissima della riflessione femminile e femminista. Ed è ancora prezioso. Anche per le finissime riflessioni dell'autrice che legano quegli anni ad oggi.
Dovrebbero leggerlo tutti, maschietti e femminucce, per misurare cosa, come e quanto sia cambiato nelle questioni di genere. Soprattutto ora che la parola genere torna a far paura. Ma questa volta all'insaputa delle donne. Specialmente delle più giovani, che tendono a dimenticare, o forse non l'hanno mai saputo, quanto sono costate quelle conquiste di cui godono i frutti. E che molte sono disposte a cedere senza combattere. In nome di una malintesa cultura della differenza che sta rinaturalizzando i comportamenti femminili. E, di conseguenza, quelli dei maschi, che non chiedono di meglio. Riportando per esempio le idee di maternità, di allattamento, di cura dei figli, e dei ruoli lavorativi, agli anni Cinquanta. All'Italia mammista e machista dei Comizi d'amore di Pasolini. Una vera regressione avallata da revisionismi pseudomedicali, da cretinate neurocognitive - in verità più neuro che cognitive - da ossessioni immunitarie, da oscurantismi di tendenza. Che costituiscono la nuova gabbia della madre perfetta.
Ha ragione Aspesi a ricordare che nessun progresso è per sempre. Il rischio del rinculo è sempre in agguato. E molte donne, credendo di far meglio delle loro madri, finiscono per star peggio delle loro nonne.
*** Marino NIOLA, antropologo e saggista, Le conquiste delle donne che le ragazze dimenticano, 'Il Venerdì di Repubblica', 7 agosto 2015
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