Bisogna spezzare le compagnie monopolistiche della comunicazione elettronica, tipo Google, Amazon o Apple, per liberare l’innovazione e rendere questi strumenti più utili alla cooperazione. (...)
Non penso che l’era digitale significhi la fine del libro. Questo è un cliché, Internet non è stupido. Molte persone che conosco sono state stimolate a leggere i miei libri, e bene, da questi strumenti. Il problema è il contenuto, perché scrivere sullo schermo è diverso che farlo a mano. I libri scritti col computer sono in genere il 20 o 25% più lunghi di quelli con la penna, perché la scrittura in video è più provvisoria, mentre quella a mano è più riflessiva e diventa un editing automatico.
[D: È d’accordo con Umberto Eco che i social media hanno dato una piattaforma agli stupidi?]
No, questo non è vero: la stupidità c’è sempre stata. Però hanno accresciuto l’aggressività. Quando ti trovi faccia a faccia con una persona sei più inibito. La distanza dei social media, invece, viene presa come una licenza a essere aggressivi.
[D: Questo compromette la cooperazione tra gli esseri umani, che era al centro del suo libro Insieme?]
La collaborazione online non funziona, non per colpa del media, ma dei programmatori. La cooperazione che mi interessa, e che sta sparendo, non è consenso o accordo. È un processo dialogico, non dialettico, che consente a persone diverse, con idee, posizioni, etnie e anche fedi religiose diverse, di lavorare insieme. I programmatori che costruiscono gli strumenti della comunicazione online, invece, tendono alla creazione del consenso. Ma Facebook o Twitter non erano mai nati come programmi politici.
[D: Perché avviene questo?]
Per lo sfruttamento capitalistico della tecnologia. I grandi monopoli che la gestiscono non hanno interesse a sperimentare davvero. Perciò è necessario dividere le grandi compagnie come Google, Amazon o Apple, preoccupate solo di controllare la tecnologia della comunicazione. Per certi versi, è il problema che Edward Snowden ha portato alla luce nel settore della sicurezza. La politica dovrebbe smettersi di occuparsi di cose frivole, come le dispute partitiche o le dinamiche dei voti parlamentari, o anche della Grecia, che andrebbe lasciata uscire dall’euro, e concentrarsi invece su questi problemi epocali del nostro tempo.
[D: Spezzare quelle compagnie libererebbe le energie della creatività?]
I programmatori vivono una grande contraddizione: per natura sarebbero individualisti, non burocratici, ma invece sono costretti a costruire gli strumenti digitali in modo da favorire il consenso.
[D: La chiarezza quindi è compromessa da questi strumenti?]
Sì. Gli strumenti si usano bene quando lo si fa con lentezza, ma l’economia moderna è segnata dalla velocità, che in pratica è la misura della produttività. Questo ci porta a scaricare sulla tecnologia colpe che invece sono del modello moderno del capitalismo. Chi ne soffre moltissimo, ad esempio, sono i media.
[D: Dicono che stiamo sparendo, per colpa di Internet e dei social]
Per colpa vostra e degli editori, direi. Se uno prima dedicava venti minuti al giorno a leggere il giornale, nulla toglie che continui a farlo oggi sui tablet. Alcuni esempi ci sono, come il Guardian o Die Zeit, che hanno creato giornali profittevoli soprattutto online. La cultura prevalente, però, è che siccome l’informazione è in rete, la sua qualità va abbassata. Quindi si licenziano i giornalisti, si riducono gli investimenti, si pubblicano articoli più superficiali, e poi si dà la colpa alla nuova tecnologia digitale se le copie non vendono. È la mancanza di qualità che vi affossa, qualunque sia il media usato.
[D: Lei sta lavorando a un progetto chiamato «Homo faber»: prima è uscito L’uomo artigiano, poi Insieme, e adesso?
Sto preparando un libro su come fare le città aperte, usando la tecnologia per renderle davvero “smart”, e favorire la cooperazione tra gli esseri umani che ci vivono.
[D: La cooperazione sembra un’ossessione: perché è così importante?]
Perché sta diventando sempre più superficiale. Cooperiamo solo con chi è come noi: stesse idee, stessa etnia, stessa religione, vista ad esempio la pochissima collaborazione tra cristiani e musulmani. Così però la società diventa isolata, incapace di funzionare.
*** Richard SENNETT, 1943, sociologo statunitense, professore alla New York University e alla London School of Economics, intervistato da Paolo Mastrolilli, La colpa del web?, Non rende stupidi, ma più aggressivi, 'La Stampa', 19 giugno 2015.
LINK intervista integrale qui
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