mercoledì 29 gennaio 2020

#SENZA_TAGLI / I laureati, perché partono, perché non tornano (Domenico De Masi)

Quanti ne partono, quanti ne arrivano? I dati recenti dell’Istat sono inequivocabili: solo nel 2018 gli italiani emigrati sono stati 117mila, in dieci anni 816mila. È come se si fosse svuotata una città più grande di Bologna. Nel decennio compreso fra il 2009 e il 2018 gli italiani che se ne sono andati sono 483mila in più rispetto a quelli che sono arrivati. Nel decennio precedente (1999-2008) il saldo negativo era meno di 50mila. Tra tutti gli emigrati nel decennio, 182.000 sono forniti di laurea. Tre i problemi sul tappeto: sono molti o sono pochi 182.000 laureati fuggiti altrove negli ultimi dieci anni? perché molti sono quelli che partono e pochi quelli che arrivano? È bene invertire la tendenza, e come farlo?

Sono molti o sono pochi? Se paragoniamo la situazione attuale a quella di cento anni fa, occorre riconoscere che la situazione è enormemente migliorata. Agli inizi del Novecento emigrarono dall’Italia milioni di contadini poveri che, oltre al loro dialetto, non conoscevano neppure la lingua italiana. Ma emigrarono anche molti tra i pochi laureati: Nel primo decennio, tra il 1901 e il 1910, solo 395.100 giovani riuscirono a laurearsi e ne emigrarono 195mila, quasi la metà. Negli ultimi dieci anni si sono laureati circa 3,2 milioni di giovani e ne sono emigrati 182mila, poco più del 5%. Dunque, rispetto al passato, emigrano pochissimi laureati.

Perché partono? In Europa, secondo il Pocket World in Figures del 2019, ben 15 Stati hanno un Pil pro-capite superiore al nostro. In 16 paesi europei si vive più felicemente che in Italia, secondo il World Happiness Report 2018 con cui le Nazioni Unite classificano 156 paesi in base all’indice di felicità. Poiché oggi, rispetto a cento anni fa, non ci sono barriere tra stato e stato, la moneta è unica, molti laureati conoscono le lingue straniere e parecchi hanno fatto l’Erasmus, non si vede perché dovrebbero restare in Italia quando hanno a portata di mano paesi più ricchi e più felici. Questo divario di ricchezza e di felicità a sfavore dell’Italia, spiega pure perché quelli che arrivano sono molto meno di quelli che partono.

Ma oggi si emigra già prima di laurearsi: un tempo i figli dei ricchi si laureavano nella propria città e poi andavano a specializzarsi alla Bocconi di Milano; oggi si laureano alla Bocconi e vanno a specializzarsi alla London School of Economics. 

È bene che tornino? Lo Stato italiano spende 30.000 euro l’anno per ogni studente universitario e la famiglia vi aggiunge 4.000 euro (10.000 se il figlio studia fuorisede). Se un giovane, dopo essere costato almeno 170.000 euro per laurearsi, poi utilizza la sua laurea all’estero, per l’Italia è una perdita secca. Tanto più che nel nostro paese la media dei cittadini laureati è scandalosamente bassa: 26% (contro il 66% della California). Sarebbe dunque un gran bene se, dopo aver fatto un’esperienza all’estero, i nostri laureati tornassero in patria.

Se è bene che tornino, come farli tornare? Per farli tornare basta che l’Italia diventi più ricca e più felice di tutti gli altri paesi in Europa. Tutto qui.

*** Domenico DE MASI, sociologo, professore emerito dell'università La Sapienza di Roma, saggista, I laureati, perché partono, perché non tornano, 'linkedin.com/pulse', 26 gennaio 2020, qui


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