Una Formica e una Cicala erano molto amiche, anche se si vedevano poco: perché la Formica era sempre impegnata a lavorare attorno a casa per mettere da parte il cibo che avrebbe potuto servirle in futuro e la Cicala si dava alla bella vita, lontano in città, tutta focalizzata sul presente e senza mai preoccuparsi del domani.
Però, quando si incontravano, sempre in casa della Formica perché la Cicala preferiva stare all'aperto, oggi qui e domani là, e non aveva un posto fisso dove abitare, parlavano molto: e alla Formica, che non smetteva mai di rassettare il suo piccolo monolocale, peraltro sempre già ordinatissimo, piaceva ascoltare le avventure della Cicala mentre questa, sdraiata in poltrona, la guardava agitarsi in continuazione, con la scopa e lo strofinaccio in mano, per pulire ogni angolo già pulito.
«Ma non puoi fermarti un po'? Possibile che tu non sappia far altro che lavorare? Soltanto a vederti, mi metti ansia, cara la mia Formica. Siediti qui con me, mentre ti racconto cosa succede in città. Tu non sai proprio cosa ti perdi, chiusa nel tuo piccolo mondo, sempre a procacciarti cibo per il futuro e a lucidare la tua cameretta che più pulita di così non può essere.»
I rimbrotti della cicala fanno sorridere la Formica.
«Lo sai, siamo diverse. Io, se non lavoro, mi annoio. E poi le cose oggi vanno bene, ma domani possono anche andare male. Metti che arriva un periodo di pioggia interminabile, o una nevicata che non smette, o un terremoto che squarcia la terra e fa cadere ogni albero, o il vulcano qui vicino che erutta all'improvviso e riempie di lava tutti i prati e i boschi, desertificando ogni pezzetto di terreno: metti che accada tutto questo, io cosa faccio poi?»
La cicala non trattiene la sua insofferenza ed esibisce ogni tipo di scongiuro.
«Ma vuoi fare la menagramo? Rilassati un po'. Goditi la vita. Non capisci che per evitare domani un'apocalisse che c'è solo nei tuoi incubi, ti impedisci di vivere? Ma lo sai cosa significa svolazzare e girovagare per la città o per i campi, senza una meta: sdraiarsi sul ramo di un albero, mentre ci si lascia dondolare alla brezza di primavera, oppure nascondersi all'ombra durante la calura estiva e cantare al sole per un pomeriggio intero? Oppure ancora, in città, bersi una birretta in uno dei bar di fronte al porto, ascoltando i racconti dei marinai che girano il mondo...?».
«Ti auguro che non ti capiti mai nulla di grave. Di non aver mai bisogno di quello che non hai fatto nei periodi in cui potevi lavorare e invece ti sei soltanto divertita», risponde la Formica, tutta seria e convinta.
«Sei la solita pessimista patologica: fantastichi di tragedie che non ci sono e non ci saranno. E poi, se domani io dovessi davvero aver bisogno, c'è sempre un'amica, a cui posso ricorrere, no...?».
La Cicala avrebbe voluto battere una mano sulla spalla della Formica, come per rendere più scherzosa la battuta, che pure diceva esattamente il suo pensiero; ma era impossibile dare buffetti alla Formica, che non stava mai ferma e se un secondo fa era vicino al divano su cui era sdraiata la Cicala, ora era già dall'altra parte della stanza a spazzare una polvere che non c'era sulla botola che portava in cantina.
La provocazione della Cicala non viene raccolta e del resto ambedue sono abituate a prendersi in giro: sono le solite schermaglie che fanno parte del rito dell'incontro.
E' evidente che la Formica non condivide lo stile di vita della Cicala, ma nello stesso tempo è curiosa di sapere come e dove l'amica trascorre il tempo in modo tanto diverso dal suo. Forse, in cuor suo e a sua insaputa (e guai se l'avesse saputo...), un po' di voglia di lasciarsi andare, nell'angolo remoto della sua anima, c'era: neppure sotto tortura lo avrebbe ammesso, ma un pizzico di invidia per l'attivismo godereccio dell'amica, insomma, non era neppure così nascosto come invece lei credeva.
E' così che la Formica decide di stuzzicare.
«Immagino che anche per questo fine settimana avrai programmi di divertimento allettanti».
Lascia scorrere qualche secondo, poi riprende.
«Anche se, a dire il vero, con il freddo che sta arrivando, mi piacerebbe proprio sapere dove te ne andrai in giro...».
«Certo», risponde la Cicala. «Non hai visto il calendario? Comincia l'inverno. E le previsioni meteo segnalano neve. Bisogna darsi da fare.»
«Darsi da fare?», domanda stupita la Formica. «Cosa significa? E' negli altri mesi dell'anno che 'ci si dà da fare'. L'inverno è la stagione in cui si gode dei risultati prodotti durante le altre stagioni: quelle più miti, in cui è possibile mettere da parte il cibo. E' appunto il periodo che dà ragione al mio modo di vivere. Io non ho dubbi: me ne starò qui rinchiusa in casa, accanto al fuoco, a mangiucchiare quello che ho accatastato in magazzino. Sei tu che non so dove finirai: senza casa, esposta alla neve e al gelo, sempre a bighellonare per locali. Con il freddo, poi, anche la voce rischia di velarsi, o addirittura di scomparire nella gola tutta gelata. Come fai a cantare ancora nei bar della città che ti piacciono tanto?».
«Ecco qui», dice la Cicala, tutta raggiante.
Ha buttato una mazzetta di bigliettoni sul tavolo e osserva compiaciuta la faccia stupita e gli occhi a palla della Formica.
«Cosa sono?».
«Soldi, non vedi? E tanti».
La Formica scuote la testa: non capisce.
La Cicala, soddisfatta della scena teatrale che sta allestendo, spiega.
«Domani prenoto. Ho già programmato il viaggio con l'agenzia. Lascio la città e i suoi pub, in questo periodo mai sufficientemente riscaldati e troppo fumosi, e vado dall'altra parte del mondo. Dove è estate e dove c'è il sole giusto per continuare a cantare.»
La Formica trasecola.
Fissa il malloppo di contanti sul tavolo.
«Scusa, ma tutti questi soldi come te li sei procurati?».
«Girovagando per la città, come dici tu: andando per locali e cantando.»
«Cantando?».
«Sì, proprio facendo quello che tu disprezzi tanto: cantando. E' successo che in uno di questi locali, una sera, sono stata avvicinata da un signore. Era interessato alla mia voce e ai miei pezzi, che, come sai, sono tutti originali: improvvisati e per nulla preparati. Perché io faccio le cose come vengono. Non spendo tempo per fare le prove: apro la bocca e canto. Evidentemente gli sono piaciuta. Mi ha detto che era un produttore. E mi ha scritturato. Quando torno dall'altra parte del mondo e qui sarà primavera e poi estate, vado a Parigi. In uno dei migliori locali della città. Per avermi, quel signore mi ha pagato la cifra che gli ho chiesto, senza neppure negoziare. E una parte della cifra, l'anticipo, è tutta in questi bigliettoni con cui domani fisso partenza e permanenza alle Hawai.»
La Formica ha riposto in un angolo scopa e straccio: ha smesso di pulire.
Si è accasciata sul divano: sembra affranta. Ha la testa fra le mani: non dice una parola.
La Cicala è presa alla sprovvista.
Guarda l'amica.
Per un po' attende.
Poi le si avvicina, preoccupata.
«Che ti è successo, amica mia? Stai male?».
La Formica fa cenno di no, in modo sbrigativo. Fa capire di non voler parlare e che desidera non essere disturbata.
La Cicala non insiste, anche se si interroga sulle ragioni di questo improvviso cambio di umore.
Trascorrono, in silenzio assoluto, alcuni minuti.
Alla fine, la Formica si alza in piedi: il viso è sempre scuro, un po' alterato.
La Cicala è sorpresa: nota un piglio che non aveva mai visto, la sua amica sembra un'altra.
La Cicala è sorpresa: nota un piglio che non aveva mai visto, la sua amica sembra un'altra.
«Hai detto che vai in Francia?»
«Sì. A Parigi. Ma non subito. Tra sei mesi, quando qui non sarà più inverno. Perché?».
«Ti chiedo un favore.».
E' formalmente una richiesta, ma il tono è ultimativo: di chi, più che domandare, sta ordinando.
La Cicala lo nota, ma decide di non cogliere. Anzi, si mostra disponibile.
E' formalmente una richiesta, ma il tono è ultimativo: di chi, più che domandare, sta ordinando.
La Cicala lo nota, ma decide di non cogliere. Anzi, si mostra disponibile.
«Se posso, lo faccio volentieri. Dimmi di cosa si tratta.»
«A Parigi, fatti indicare il cimitero della città.»
«Il cimitero?».
«Sì, il cimitero. Dove gli umani seppelliscono i morti».
La Cicala è più sconcertata che mai: comincia a pensare che l'amica sia stata colpita da qualcosa che le ha fatto perdere il senno.
La Formica prende un foglio e una penna: vi scribacchia sopra qualcosa.
«Ecco. Assolutamente non perdere questo foglio: è fondamentale. Sicuramente il nome che ho scritto non ti dirà nulla. Ma è un nome importante. Accanto al nome ho aggiunto sei paroline. Brevissime, ma chiarissime. Tu cerca la tomba del signore che ho indicato nel foglio e lascia il foglio in bella vista accanto alla sua tomba. Anzi, guarda...», si allontana un attimo dal tavolo e apre il cassetto della credenza. «Infilo il foglio in questa busta di plastica. Così, quando lo lascerai sulla tomba, alla prima pioggia, lo scritto rimane intatto e non si sbianca.».
La Cicala capisce sempre meno. Ma è intenzionata a eseguire puntualmente quanto l'amica le sta chiedendo di fare.
E ricapitola a voce alta ciò che fin qui le pare di aver compreso.
«Dunque, hai detto: cimitero di Parigi. Cerco la tomba del signore che hai indicato nel foglio. Quando la trovo, vi lascio accanto il foglio che mi hai dato. Tutto qui?».
La Formica fa un vistoso cenno di sì con il capo.
«Esatto. Semplice, mi pare. Assicurati solo che il foglio, nella busta di plastica, sia ben visibile da chiunque gli passi davanti. Magari fermalo con qualche sasso: così il primo alito di vento non se lo porta via.».
Sempre precisa, la Formica: prevedeva tutto.
Sempre precisa, la Formica: prevedeva tutto.
La Cicala osserva il foglio chiuso nella cartellina di plastica: stava dimenticandosi che, ovviamente, doveva conoscerne il contenuto.
«Posso guardare cosa hai scritto nel foglio?».
«Certo. 'Devi' guardare. E devi imparare bene il nome del signore. Poi però stai attenta a rimettere il foglio a posto come sta ora: senza spiegazzarlo».
La Formica non ha perso la sua mania per l'ordine: le cose devono sempre essere ordinate nel modo esatto in cui lei ha deciso.
La Formica non ha perso la sua mania per l'ordine: le cose devono sempre essere ordinate nel modo esatto in cui lei ha deciso.
La Cicala, con cura e delicatezza, sfila il foglio dalla busta di plastica.
Legge.
A caratteri cubitali, in alto, un nome e un cognome che non le dicono nulla. Poi, sempre a tutte maiuscole, sei paroline, divise in blocchi da quattro e da due, che riempiono la pagina. Queste sì che le suggeriscono qualcosa: le ha sentite spesso, da qualche marinaio straniero, giù al porto, nelle discussioni accalorate accompagnate dai boccali di birra. Per questo, non se ne accorge, ma un accenno di sorriso le increspa le labbra.
La Formica e la Cicala, entrambe ritte in piedi una davanti all'altra, ora si fissano negli occhi per qualche secondo.
«E allora?», chiede la Cicala, che comincia a non poterne più di tutto questo mistero.
La Formica finalmente sorride: è rilassata. Come si fosse tolta un peso enorme dallo stomaco: si sente leggera e guarda alla vita in modo nuovo.
Sì, ha tenuto in attesa la Cicala per troppo tempo: è ora che si spieghi.
«E allora?», chiede la Cicala, che comincia a non poterne più di tutto questo mistero.
La Formica finalmente sorride: è rilassata. Come si fosse tolta un peso enorme dallo stomaco: si sente leggera e guarda alla vita in modo nuovo.
Sì, ha tenuto in attesa la Cicala per troppo tempo: è ora che si spieghi.
«Tu, cara la mia amica Cicala, sempre impegnata a divertirti e a canticchiare, forse lo ignori. Ma lui, il nome che hai letto, non è uno sconosciuto. Anzi, si tratta di un signore sempre ricordato: soprattutto quando gli umani parlano di noi formiche e cicale. Infatti, riprendendo una favola originale scritta dal greco Esopo, vissuto addirittura 2.500 anni fa, questo scrittore francese ha parlato di noi due in un suo racconto. Ed è diventato famoso forse soprattutto per questo. Si chiama Jean de la Fontaine. E ci perseguita dal 1600 con la favoletta della Formica e della Cicala. Insieme con Esopo, ci ha imprigionato per secoli nei due ruoli che fino ad ora abbiamo recitato: secondo i quali io sarei il modello esemplare dei comportamenti 'giusti' e tu il modello esemplare dei comportamenti 'sbagliati'. Ora, anche grazie a te, ho avuto una 'illuminazione'. Decisiva, pur se tardiva. E questa nuova consapevolezza gliela voglio dedicare con tutto il cuore nelle sei paroline che ho aggiunto accanto al suo nome. Quattro sono in francese: perché il nostro amico non abbia dubbi nel capire. E due sono in inglese, la lingua ormai internazionale: perché chiunque passi davanti alla sua tomba gli mandi un pensierino. Come hai potuto leggere, il mio invito bilingue a Jean la Fontaine è semplice e diretto e non c'è bisogno che te lo traduca. Prima, in francese, ho scritto "Va te faire foutre". Poi, in inglese: "Fuck you"».
*** Massimo FERRARIO, Il riscatto della Formica, per Mixtura. Rielaborazione libera e creativa di una breve storia diffusa in rete.
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