Lo avete notato? L’inglese usa due parole per indicare due diversi ruoli: ‘host’ per chi ospita e ‘guest’ per chi è ospitato, il primo per chi invita a cena (e la offre) e il secondo per chi ci va (magari portando dei fiori).
L’italiano, all’opposto, utilizza un unico vocabolo: ‘ospite’. Tale è detto sia chi accoglie, sia chi è accolto.
Il termine viene dal latino, ove il ‘focus’ viene messo sulla relazione e non sui suoi due poli. Il che mi pare fecondo, pur se può dar adito a equivoci: l’ospitalità non indica un dare o un avere, ma il condividere il legame dell’ospitalità.
In fondo, in un rapporto paritetico – seppur con ruoli diversi – contano la cooperazione, la collaborazione, lo scambio. Vale poco chi ospita chi: cruciale è lo stare insieme, il mangiare insieme, il dormire sotto lo stesso tetto.
Può capitare che un ricco generosamente accolga un viandante povero. Ma il secondo può apportare tesori di esperienza e saggezza, dolore e fatica, che ricambiano il cibo e il letto ricevuti.
L’equivoco semantico nasconde una verità profonda per noi umani: nelle relazioni tutti noi riceviamo e diamo, nutrendoci a vicenda.
Auto-realizzarsi significa farlo con altri, tramite mutui scambi arricchenti. Uno più uno fa tre.
*** Enrico FINZI, 1946, ricercatore sociale, fondatore e direttore di 'Sòno human tuning', Ma cosa dici?, blog 'Sòno', 28 gennaio 2020, qui
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