Non ne posso più di quelli che ripetono di lasciar correre, non raccogliere, non stigmatizzare, non prendere posizione: se no, ti puntano il dito contro, si fa il gioco degli avversari/nemici.
Mi viene in mente la vignetta di Altan: l'omino e l'ombrello.
Inutile specificare che l'omino l'ombrello non ce l'ha in mano, ma altrove. Perché è l'altro, l'omone, che ha il potere di manovrarlo.
L'immagine sarà volgare, ma perfettamente adatta ai tempi che sono ogni giorno più volgari.
Non è un'opinione, ma un fatto: qualcuno - più di uno, molti, troppi: e sono prepotentemente in crescita - manovra l'ombrello su di noi: almeno su tutti quelli che vogliono continuare a impiegare l'ombrello per la pioggia e non ci stanno a farselo usare per altro.
Secondo la teoria che ci raccomanda di non fare il gioco dell'altro, dovremmo far finta di nulla: stare zitti, immobili. Non protestare, non cercare aiuto, non additare l'omone per quello che sta facendo, non chiamare a raccolta chi non vede o è indifferente. Pazientiamo, non diamo altre armi all'omone: poi passerà.
Come negli anni venti del secolo scorso: quando poi finì come è finita.
Niente di nuovo sotto il sole: se la democrazia non viene difesa da ognuno di noi, con parole e azioni, la democrazia muore. Perché democrazia, lo sappiamo ma ci fa comodo dimenticarlo, non è un 'dato': è un 'processo'.
Come tutti i processi, è in movimento: può andare avanti (continuare a essere democrazia e anche, possibilmente, migliorare, non essendo mai perfetta), ma può pure andare indietro (svuotandosi e azzerandosi).
Oggi poi abbiamo inventato nuove forme che ne sformano la sostanza, lasciandone intatto l'involucro: non c'è più bisogno di far uscire carriarmati in piazza, né di indossare camicie nere o brune.
Basta aggiungere ogni giorno qualcosa, in termini di atteggiamenti, comportamenti, valori, spostando il limite del consentito, in attesa di modificare, più di quanto già non è accaduto, le norme e le leggi di convivenza. Un po' per volta sempre di più. E ci si trova con il finale cambiato della parola che diamo per scontato non possa cambiare: da demo-crazia a demo-cratura.
Un'ibridazione. Un incrocio tra democrazia e dittatura. Con il secondo termine, peraltro, che ha gradazioni diverse, tutte percorribili e ognuna peggiorativa.
Oppure, se non piace l'ibridazione, si può ricorrere all'espressione, sempre più di tendenza, di democrazia illiberale. Un ossimoro subdolo e fraudolento. Che di fatto, con una modalità che imita suadentemente il tanto aborrito politicamente corretto, uccide il nome (democrazia) per esaltare l'aggettivo (illiberale).
Non è un finale scritto. Ma possibile: tanto più possibile se non ci diciamo che è, appunto, possibile. E dunque evitabile.
Dicono che, dicendolo, facciamo pubblicità ai fan della democratura?
E allora stiamo zitti, non facciamo il 'loro' gioco.
Se e quando saremo tutti definitivamente caduti dentro l'abisso di una democrazia illiberale, ci illuderemo di non essere complici del disastro: sempre che non abbiamo perso, nel frattempo, pure la categoria di cosa sia 'democrazia' e cosa sia 'disastro'.
*** Massimo FERRARIO, Fare il gioco degli avversari?, per Mixtura.
In Mixtura ark #Spilli di Massimo Ferrario qui
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