Non ci può essere democrazia senza popolo. Ma questo semplice principio invocato dai rivoluzionari americani o francesi, fin dalle origini, non cessa di essere manipolato, dibattuto, tradito, oggetto di plurime e contrastanti interpretazioni. I Founding Fathers ben potevano dare inizio alla costituzione americana con un solenne e altisonante «We the People» e riprendersi con una mano ciò che avevano concesso con l’altra. Tutto il resto della costituzione è caratterizzato dall’ossessione per le masse che si cerca di controllare, incanalare, limitare. Non c’era evidentemente alcun posto per gli schiavi, ma neanche per le donne. E per tutti gli altri cittadini furono approntate mille barriere e trappole per evitare l’intrusione della folla e la «tyranny of the majority».
La stessa cosa è avvenuta in Francia, dove si è avuto il pregio di sostituire un’entità astratta e unica, ossia il popolo, a un’entità concreta e anch’essa unica, ossia il re. Anche quando i membri della Convenzione introdussero il suffragio universale, essi ne esclusero le donne e preferirono il linguaggio del terrore alla libera espressione delle urne. Il popolo, indispensabile alla teoria democratica, emerge nella sofferenza e prima della nascita della democrazia, quando questa è ancora molto lontana dall’essere anche solo concepita. Ciò che precede è l’instaurazione della Repubblica, regime antimonarchico che non significa necessariamente democratico.
*** Yves MÉNY, 1943, politologo francese, Popolo ma non troppo, Il Mulino, 2019.
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