Sono in metropolitana. Un signore, che avrà almeno 60 anni, si avvicina con un’armonica a bocca fissata con lo scotch a un microfono. Dice che dorme in stazione centrale e che ha bisogno di una mano. Si mette a suonare. Io stoppo Spotify e decido di ascoltare quella musica, così malinconica. Qualcuno butta una moneta nel bicchiere che ha in tasca, lui si ferma, ringrazia, augura buon viaggio, buona serata e buona fortuna, ricomincia a suonare. In cambio, il silenzio (forse per timidezza, forse perché è difficile entrare in relazione con una persona che è davanti a te e ti chiede una mano, anche quando gliel’hai data). Finisce la sua canzone, lo guardo negli occhi e gli do 1€, sapendo che non sarà certo quello a risolvergli i problemi. Lui mi ringrazia, mi augura buon viaggio, buona serata e buona fortuna. Continuo a guardarlo e dico “anche a lei”. Vedo il suo sguardo stupito e so perché.
L’ho visto succedere tante volte. Le persone hanno questo brutto vizio di dare del tu quando si sentono superiori, anche in buona fede. Al cameriere, alla donna straniera allo sportello, al senzatetto che suona in metropolitana. Ma a me hanno insegnato che ogni essere umano ha un valore infinito e che se non conosco qualcuno (soprattutto se più grande di me), io devo dare del lei come segno di rispetto. Perché non sono migliore o peggiore di nessuno (“finché sarò diverso” cit).
Quindi buon viaggio, buona serata e buona fortuna a lei, signore. So che non sarà il mio euro a migliorare la sua condizione, spero che almeno il mio sguardo le ricordi che lei è visibile. Esiste. (Sto piangendo in metro scrivendo queste parole e non mi importa, piangessimo un po’ di più insieme, miglioreremmo il mondo.)
*** Irene FACHERIS, 1989, psicologa, formatrice, fondatrice e coordinatrice di Bossy, facebook, 29 maggio 2019, qui
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