Oggi, anniversario della strage di Capaci, assistiamo a numerose celebrazioni della vita di Giovanni Falcone e omaggi al suo coraggio. Tutta Italia sembra essere sempre stata dalla sua parte, tutti sembrano essere sempre stati con lui. Non è così.
Ricordo spesso come Ilda Boccassini, il giudice che forse più di tutti ha ereditato il metodo investigativo di Falcone, lo descrive: “Non c’è stato uomo in Italia che ha accumulato nella sua vita più sconfitte di Falcone. Bocciato come consigliere istruttore. Bocciato come procuratore di Palermo. Bocciato come candidato al Csm, e sarebbe stato bocciato anche come Procuratore Nazionale Antimafia, se non fosse stato ucciso. Eppure ogni anno si celebra l'esistenza di Giovanni come fosse stata premiata da pubblici riconoscimenti o apprezzata nella sua eccellenza. Un altro paradosso. Non c'è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità”.
Oggi, se non vogliamo cadere nello stesso errore di una celebrazione di forma, dobbiamo ricordare i meccanismi che stritolavano Falcone e chiunque si occupasse di organizzazioni mafiose. Tra questi non va dimenticata l'invidia, come ha sentenziato persino la Corte di Cassazione nell'ambito del processo sull'Addaura: “Non vi è alcun dubbio che Giovanni Falcone fu oggetto di torbidi giochi di potere, di strumentalizzazioni a opera della partitocrazia, di meschini sentimenti di invidia e gelosia (anche all’interno delle stesse istituzioni)”. Il genio di Falcone fu la sua conoscenza del diritto e la sua capacità di investigazione.
*** Roberto SAVIANO, scrittore, facebook, 23 maggio 2019, qui
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