Negli slittamenti mistici della nostra cultura attuale vedo, più che un anelito trascendente, una regressione al pensiero magico, alla coesistenza maligna di credulità illimitata e diffidenza sistematica, secondo la quale il massimo dell’irrazionalità si coniuga con il minimo della spiritualità. Non ascriverei all’ambito religioso le tendenze new age (oramai non più nuove, ma sempre pervasive), il rifugio nelle ginnastiche o nei profumi orientali, le pratiche di rilassamento, concentrazione, respirazione confortate da omeopatia, erboristeria, diete biologiche… Quel che c’è di nuovo, semmai, è che nessuno sente più alcun bisogno di giustificare le proprie contraddizioni. Gli oroscopi sui quotidiani, le superstizioni ostentate come un vezzo, i vecchi pregiudizi ammantati da legge biologica (ce l’ho nel dna…), circolano a tutti i livelli della società con poco conflitto e nessun tormento. Per essere onesti, occorre ammettere che la professione di ateismo non tutela affatto da tali incoerenze. Essere ambigui significa evitare il conflitto, la fatica della coerenza, lasciando convivere dentro di sé identità molteplici. È un dissimulare lieve al limite tra conscio e inconscio nel quale, grazie a microscissioni difensive, l’inganno viene fatto anche a se stessi, al punto di far scambiare la frequenza statistica con la normalità. Così, per molti, l’esercizio della devozione sembra funzionare come per gli antichi popoli latini, che ossequiavano gli «dei momentanei», come quello preposto a vegliare sull’attraversamento della soglia, giusto per il tempo indispensabile a varcare la porta, per poi accantonarlo disinvoltamente fino alla volta successiva. Come dico da qualche anno (*), il clima generale è quello dell’autoindulgenza, dell’uso difensivo e regressivo dell’ambiguità (altro che post-verità!), che sempre più dominano la nostra epoca a livello individuale e collettivo, nelle relazioni amorose e in quelle sociali, nella politica come nella religione. Anche la tolleranza e il pluralismo, in tempi come questi, non sono frutto del rispetto dell’alterità, ma dell’indifferenza.
*** Simona ARGENTIERI, psichiatra e psicoanalista, membro ordinario e didatta dell'Associazione Italiana di Psicoanalisi e dell'International Psycho-analytical Association, Il conforto del pensiero magico, 'MicroMega', n. 1, 2017 - (*) S. Argentieri, L’ambiguità, Einaudi, Torino 2008.
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