Vi assicuro che non ho intenzione di parlare sempre di Donald Trump, ma quell’uomo è un tale manuale di psicologia ambulante che non posso resistere alla tentazione di usarlo come esempio. In particolare, per la sua tendenza a criticare negli altri i suoi stessi difetti.
“Una cosa di cui mi sono accorto quasi subito”, ha twittato l’ex autore dei suoi discorsi Tony Schwartz, “è che quando Trump esprime le opinioni più negative sugli altri in realtà sta descrivendo se stesso”. Non è semplicemente un insicuro che sputa veleno quando viene attaccato, è che il suo modo specifico di sputare veleno mette in evidenza la sue maggiori insicurezze. Sostiene che Hillary Clinton non dovrebbe ricevere messaggi segreti dai servizi di sicurezza perché è “una mina vacante [sic] senza nessuna capacità di giudizio”. La prende in giro per i suoi sonnellini e usa la sua “mancanza di energia” come un insulto, sebbene lui stesso appaia spesso esausto e insista che deve dormire nel suo letto. E accusa i membri della Nato di non pagare i loro debiti, quando nel mondo degli affari lui è famoso proprio per questo.
Strumenti preziosi - Ovviamente si tratta di “proiezioni”, per usare uno di quei termini freudiani che dovremmo evitare perché non sono scientificamente dimostrati, ma che continuano a dimostrarsi uno strumento prezioso per interpretare il mondo.
Secondo questa teoria, quando proviamo un’emozione di cui ci vergogniamo o pensiamo qualcosa che non vogliamo ammettere, attribuiamo questa debolezza agli altri per non riconoscerla in noi stessi (non è solo che fingiamo di vederla negli altri, come pensa qualcuno a proposito degli sproloqui di Trump, ci crediamo veramente). Un marito che la tradisce spesso accusa di infedeltà la moglie; un fanatico intollerante vede pregiudizi dovunque. Funziona anche con le emozioni positive: nel primo periodo di una storia d’amore, sosteneva Carl Jung, regna la proiezione. Vediamo nell’altra persona la parte buona di noi stessi che ancora non abbiamo scoperto.
È per questo che molti rapporti finiscono dopo qualche mese, quando cominciano a notarsi le differenze tra la persona reale e la proiezione. “La proiezione”, scriveva Jung, “trasforma il mondo nella replica del nostro lato ignoto”.
Il problema è che di solito la proiezione si aggancia a un tratto reale della personalità dell’altro, rendendo più difficile vedere come stanno veramente le cose. Per esempio, io mi arrabbio molto quando nel mio quartiere gli automobilisti suonano il clacson senza un buon motivo. In un certo senso, ho ragione: stanno infrangendo la legge. Ma questa non può essere l’unica spiegazione, perché altre cose spiacevoli non mi sconvolgono tanto (a essere sinceri neanche la maggior parte degli attacchi terroristici).
È possibile che l’egoismo di quegli automobilisti mi dia tanto fastidio perché temo di essere a mia volta troppo egoista? Se fosse così, non ci sarebbe niente di strano nel fatto che la mia reazione nei confronti delle atrocità dei terroristi non sia altrettanto viscerale, perché dentro di me non temo di poterle commettere.
È illuminante esaminare attraverso questa lente i nostri sentimenti di ostilità nei confronti degli altri, e i loro nei nostri. Senza contare che ci permette di leggere Trump come un libro aperto, non scritto su commissione da qualcun altro, ma scritto, anche se involontariamente, con il cuore.
*** Oliver BURKEMAN, giornalista e saggista, Le nostre critiche mettono in luce le nostre insicurezze, 'internazionale.it', 23 agosto 2016, traduzione di Bruna Tortorella, qui
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