Il sistema economico e il mercato del lavoro, così come sono stati finora congegnati, mi sembrano sempre più due mostruosi gemelli generati da un medesimo ovulo neoliberale a sua volta fecondato da uno spermatozoo postindustriale.
Questi gemelli, messi insieme, hanno la capacità di trasformare in disastri persino le opportunità. Scienziati e ingegneri sfornano ogni giorno macchine in grado di produrre beni e servizi sempre più a basso costo, con produzioni a ciclo continuo e senza la possibilità di sottostare a scioperi o a incidenti. Per di più la globalizzazione permette la diminuzione dei costi di materie prime e di fabbricazione.
Pertanto, si produce di più impiegando meno lavoro umano. Una buona notizia, dunque, se fosse accompagnata da una ridistribuzione del lavoro rimanente a tutta la popolazione attiva, permettendo a ogni cittadino di guadagnarsi da vivere attraverso il lavoro decrescente e di coltivare la propria vita intellettiva e culturale nel tempo libero crescente.
Invece questi perversi gemelli hanno deciso che i genitori continuino ad ammazzarsi di lavoro fino allo spasimo e i figli restino del tutto disoccupati. Sicché i figli, nulla guadagnando, poco consumano, e contribuiscono così, paradossalmente, a quella deflazione che gli stessi gemelli temono. Mario Draghi, nell’ultimo rapporto BCE, ha sottolineato come il problema della disoccupazione giovanile in Europa oggi colpisca la generazione più istruita di sempre, ponendo le preoccupanti basi per una lost generation.
I governi non riescono a risolvere questo ormai dilagante problema. Dunque, cosa possono fare i disoccupati, vittime innocenti di questa generale inadempienza?
Innanzitutto vediamo quanti sono i disoccupati. Secondo l’International Labour Organization (Ilo) il tasso di disoccupazione contempla le persone senza lavoro e coloro che, nelle ultime quattro settimane, l’hanno cercato attivamente senza trovarlo.
“2,8 miliardi di lavoratori – 197 milioni di disoccupati” - Secondo l’Ilo, i lavoratori salariati nel mondo sono 2,8 miliardi, pari dunque al 45% circa della popolazione globale. I disoccupati sono invece 197 milioni pari al 6 per cento circa della popolazione attiva. In Europa i lavoratori sono 225 milioni e i disoccupati rasentano i 26 milioni con l’aggiunta di altri 18 milioni di sottoccupati, divisi tra scoraggiati a trovare un’occupazione e lavoratori part-time che vorrebbero diventare full-time. I disoccupati sotto i 25 anni in Europa sono circa 5,5 milioni pari al 22 per cento, con punte del 40% in Italia, del 50% in Spagna e in Grecia.
Queste cifre oscillano in su e in giù ogni semestre, ma la sostanza del problema non cambia: la meccanizzazione distrugge più posti di lavoro di quanti sia in grado di crearne. Dunque la situazione occupazionale è destinata ad aggravarsi nel tempo.
Eppure…
C’è qualche possibilità che una frattaglia atomizzata di 197 milioni di disoccupati riesca a imporre il proprio diritto di lavorare ai governi, alle imprese e ai lavoratori occupati? Per dare loro un’occupazione e un salario basterebbe ridurre di pochissimo l’orario di lavoro dei 2,8 miliardi di salariati. In Europa, dunque, basterebbe ridurre in misura irrisoria l’orario di lavoro dei 225 milioni di occupati per ridare dignità a 26 milioni di disoccupati.
Ma questo non è avvenuto (e forse non avverrà mai) a causa di almeno quattro motivi. Primo, le teorie cosiddette liberali e neoliberali non lo contemplano. Secondo, la parte garantita del mercato è impietosa nei confronti della parte non garantita. Terzo, i poveri non hanno lobby. Quarto, come ha scritto Wright Mills “non solo i figli dei ricchi ereditano la ricchezza con tutti i suoi vantaggi, ma anche i figli dei poveri ereditano la povertà con tutti i suoi svantaggi”. Così la società riproduce e amplifica le sue disuguaglianze.
Ma poiché i disoccupati non hanno nulla da perdere tranne la loro disoccupazione, non gli resta altra scelta che scompaginare il sistema gettando sul mercato del lavoro, gratuitamente, tutta la propria massa lavorativa. Se in Europa i 26 milioni di disoccupati offrissero gratuitamente la loro opera a chiunque ne avesse bisogno, in poco tempo tutta la legge della domanda e dell’offerta andrebbe a gambe all’aria.
Mentre il liberismo di Adam Smith e di Richard Cobden ha avuto il neo-liberismo di Ludwing von Mises e Friedrich von Hayek, non si può dire la stessa cosa del comunismo di Karl Marx che purtroppo non ha avuto un neo-comunismo se non nelle forme blande della new left di Wright Mills, della socialdemocrazia di Willy Brandt, del new labour di Tony Blair, che hanno comunque lasciato irrisolta la questione occupazionale.
Oggi quelle stesse tecnologie che sottraggono lavoro, potrebbero aiutare le loro vittime a recuperarne almeno una parte. I disoccupati informatici potrebbero infatti dedicarsi alla creazione di software, di app, di siti capaci di mettere in contatto chi cerca un determinato tipo di lavoratore con il disoccupato in grado di soddisfare la sua domanda gratuitamente. Si creerebbe così una immensa rete ottimale tra milioni di domande e milioni di offerte, come in piccolo ha fatto Uber scompigliando il sistema dei taxi.
Ciò costringerebbe i governi a mettere mano a una nuova normativa del mercato del lavoro grazie alla quale ogni incremento della produttività dovrebbe comportare una equivalente riduzione e ridistribuzione dei carichi di lavoro.
“WHITE WORK” - A differenza del lavoro nero, sotto-pagato e sopra-sfruttato, avremmo così un lavoro bianco, un White Work, un WW volontario e rivoluzionario, puro e senza vittime.
Bianco, come poeticamente ci dice Wikipedia, “un colore senza tinta, acromatico, composto delle frequenze di tutti i colori dello spettro visibile”. Opposto, simbolicamente, del nero e dell’oscurità.
*** Domenico DE MASI, sociologo e saggista, professore emerito di Sociologia del Lavoro Università “La Sapienza” di Roma, La tecnologia e il lavoro bianco, 10 agosto 2016, 'le macchine volanti', qui
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