Stefano BENNI, "Achille piè veloce"
Feltrinelli, 2003
pagine 193, € 8,50, ebook € 5,99
Testo di presentazione dell'Editore - Citazioni scelte da Mixtura
Ulisse, giovane scrittore con un libro alle spalle, scarso futuro e incerto presente, lavora in una piccola casa editrice a fatturato zero. È ossessionato dagli ‟scrittodattili” (pare che nessuno, proprio nessuno, si esima dal cimento della scrittura) e si riconosce ‟poligamo politropo” (vale a dire che, malgrado la bella Pilar, signora del suo cuore, cede volentieri a effimere avventure).
Un giorno riceve una lettera misteriosa. ‟Egregio signor Ulisse. Le scrivo per tre motivi. Il primo è che lei ha un nome omerico come me…”
Chi scrive è Achille. Un ragazzo malato, deforme, inchiodato davanti a un computer, che paga con la volontaria reclusione domestica la minaccia sempre in-combente di un internamento clinico. Chiede un incontro. Ulisse ci sta. Achille è colto, vitale, curioso, impudico. Di Ulisse vuole sapere tutto, e in particolare vuole sapere tutto dell'intrepida Pilar, sudamericana in attesa di permesso di soggiorno.
Ulisse parla. Senza reticenze. E Achille risponde digitando sulla tastiera. Nella semioscurità di una stanza in cui il mondo entra con il clangore di armi lontane.
La loro è una sbilenca, strana, amicizia. Un'amicizia fra eroi, in cui l'emerso e il sommerso sembrano coincidere in un'unica figura. Combattono insieme una grande battaglia, una di quelle battaglie che ha il suono mitico delle antiche gesta.
Stefano Benni desta dall'ombra di un mondo tetramente allo sfascio la luminosa fierezza della sfida, il riso liberatorio sull'orlo dell'abisso. Commuove e inquieta. Non ci lascia in pace. E ci regala un personaggio che non si fa dimenticare.
«
Poi c’è il parcheggio. Ai tempi d’oro ospitava seimila macchine, si facevano ore di fila per accedervi, era il limbo da cui entrare all’Eden. Ora ce n’è appena un terzo, la crisi economica morde i portafogli, metà dei negozi sono chiusi e pile di carrelli vuoti arrugginiscono tristemente nei magazzini. Entrando nelle vaste sale, specialmente nel cuore di Shop Eden, l’Eden Market, potreste non accorgervi che qualcosa è cambiato. Il paradiso del consumatore sembra intatto. Tra gli scaffali c’è ancora cibo per sfamare mezzo Malawi, per far venire il diabete al Botswana, per ubriacare il Benin, per vestire mezza Groenlandia, per far giocare tutti i bimbi dello Yemen, per profumare le isole di guano delle Galápagos, per far ballare tutti i masai, per illuminare la notte lappone, per riempire del superfluo, dell’inutile, del troppo, dell’inutilizzato, dello sprecato una vasta zona del globo. Ma guardando con maggior attenzione, potrete cogliere i segni del morbo, la malattia sottile che rode l’economia del mondo e da lì contagia il nostro paese, le sue case e i salvadanai. Qualche cartello in più di offerte speciali e saldi, un velo di polvere su qualche scatoletta, qualche capo di vestiario fuori moda. Ascoltate bene e udrete il triste lamento degli Invenduti: la mela che marcisce nascosta in fondo al cesto, lo yogurt scaduto che cerca di coprire la data della sua fine ignominiosa, il formaggio che emana un lieve afrore, il detersivo a cui fa la pubblicità un divo morto da tempo, i gadget del cartone animato già dimenticato dalla gioventù irriconoscente, gli zainetti con idoli rock svaniti nel nulla, il ferro da stiro parlante bocciato dalle massaie.
E soprattutto, anche se mascherate con festoni e cartelli, noterete che sono chiuse ben dodici casse su trenta. Poiché il morbo, oltre che gli onesti finanzieri e l’incolpevole mercato, ha colpito anche le avide maestranze dello Shop Eden, che vistesi minacciate nel privilegio del loro lavoro, invece di accettare con serenità un licenziamento foriero di tempo libero e svolte esistenziali, hanno iniziato a strepitare, scioperare e picchettare. Eccole, fuori dall’entrata Uno, quella più nobile, intente a distribuire un ignobile volantino contenente accuse alla proprietà e al governo, nonché ovvietà bolsceviche culminanti nello stantio slogan:
Vogliamo soltanto lavorare. (Stefano BENNI, "Achille piè veloce", Feltrinelli, 2003)
... quando uno è triste non servono le classifiche, non c’è un tristometro, è inutile dire sto mediamente peggio di te o decisamente meglio di te, si diventa tutti ottusi ed egoisti e la propria tristezza diventa una grande campana in cui ci si chiude, per non ascoltare la tristezza degli altri. (Stefano BENNI, "Achille piè veloce", Feltrinelli, 2003)
Quale dietrismo. È tutto spudoratamente, illegalmente, arrogantemente davanti agli occhi. Non sono tempi di dietrismo ma di davantismo. (Stefano BENNI, "Achille piè veloce", Feltrinelli, 2003)
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