mercoledì 14 ottobre 2015

#SPILLI / Principi di buona convivenza (M. Ferrario)

(dal web, via linkedin)


In generale l'immagine che qui sopra riproduco mi sembra offra una 'buona traccia' per discutere, non solo con bambini, ma qualche volta anche con qualche adulto rimasto bambino, cosa significhi una 'buona convivenza'.

Sulle 18 domande-risposte sopra riportate nelle due colonne, mi hanno colpito in particolare due punti che vorrei qui problematizzare 

(1) - "Non sai farlo meglio? Non criticare".
Mi pare un punto da intendere bene: se il principio mira a dissuadere dal comportarsi come chi apre la bocca e le dà fiato, chi non è mai d'accordo, chi si lagna senza argomentare e, soprattutto, chi fa sempre il pierino-saputello della situazione, fingendo di sapere senza di fatto sapere, concordo.
Ma se il principio mira ad affermare, neanche tanto implicitamente, che la critica è accettabile solo se arriva da chi sa fare la cosa criticata meglio di chi muove la critica, dissento. 
Totalmente. 
Perché in questo caso, ad esempio, di un film potrebbe parlare solo chi fa film e, addirittura, è in grado di dimostrare, con i fatti, e quindi con un altro film diretto e realizzato da lui, che lui farebbe meglio. 
Oppure, di Marchionne, o di un suo collega imprenditore-top manager, potrebbe dire qualcosa di critico solo chi, mettendosi al posto di Marchionne, può dimostrare, con i fatti e solo con i fatti, che lui è capace di realizzare meglio di Marchionne quello che oggi critica di Marchionne. 
Un'assurdità, mi pare.
Anche perché vorrebbe dire negare, oltre alla libertà di espressione, l'utilità, se ci crediamo, dei contributi che le persone possono scambiarsi, in base alle loro conoscenze, opinioni, esperienze, competenze, e che sono frutto di quel pensiero intelligente che dovrebbe essere di tutti e che, se mai, dovremmo promuovere il più possibile in tutti. 
Certo, a chiunque muova una critica bisogna chiedere una critica costruita e il più possibile fondata. E questo significa argomentata, in base a logica e a dati e fatti: in modo che tutto ciò che viene detto supporti il più possibile quanto viene detto. 
Il contrario, appunto, della bocca aperta, che fa uscire fiato inutile, dicendo no senza averci ragionato o per il solo gusto di distinguersi sbandierando il proprio dissenso. 
Dunque è il modo in cui si critica che deve essere, se mai, 'criticato': ma la critica, come strumento umano che serve a migliorarci tutti, lungi dal considerarla negativa, incentiviamola. 
E se mai mettiamo in atto azioni (auto)formative che ci aiutino a praticarla meglio.

(2) - "Non ti va bene? Rispetta"
Condivido il fatto che, specie da bambini, dobbiamo anche imparare a obbedire e a conformaci alle regole del gioco. Perché le regole ci accompagnano per tutta la vita e senza regole è difficile vivere, e soprattutto 'con-vivere'. 
Non esistono giochi senza regole. Così è per il 'gioco' del vivere.
E le regole sono importanti anche perché consentono (o almeno dovrebbe esserci una regola che lo consente, quando è necessario) il cambio delle regole stesse. Senza contare che, talvolta, anche la trasgressione può costituire un modo utile ed efficace per costruire nuove regole.
Qualcuno l'ha già detto (e non dovremmo rimuovere questo insegnamento fondamentale): sono le regole che servono all'uomo e non è l'uomo che serve alle regole.
Dunque, la risposta al 'non ti va bene?' non può essere soltanto un immediato, impositivo e sbrigativo 'rispetta'. 
Magari, la prima risposta potrebbe essere 'parliamone': cerchiamo di capire meglio perché 'non ti va bene'. E, se capiamo che è necessario o utile immaginare un'alternativa anche con l'aiuto di chi dice che 'non gli va bene', si può trovare una nuova soluzione che sia accettabile e 'vada bene'. A tutti. Pure a chi aveva eccepito dicendo che non gli andava bene.
Non è un'ipotesi scandalosa: quanto più la convivenza si fonda sulle scelte interiorizzate delle persone tanto più sarà solida e sentita dalle persone come propria. Dunque, anche, da difendere da eventuali intrusioni esterne negative, che potrebbero diminuire, o addirittura minare, la qualità della convivenza stessa.

Sono due piccoli punti. Ma a mio avviso non così piccoli.
Temo che se non vengono bene spiegati, e applicati, possono aiutare ad alimentare (perpetuandola) la visione di un essere umano che sbatte i tacchi e dice signorsì.
E' stato detto tanti anni fa, e io continuo a ritenere la massima valida anche per il 2000, che "l'obbedienza non è più una virtù" (Lorenzo Milani). 
Questo, ovviamente, non significa che la disobbedienza debba prendere il posto dell'obbedienza e diventare 'l'unica e assoluta' risposta sociale da insegnare e praticare. Passeremmo dalla dipendenza alla contro-dipendenza: una transizione frequente, ma, quanto a funzionalità, richiama la storia della caduta dalla padella alla brace.
Vuol dire invece, più semplicemente e banalmente (e il semplice e il banale sono le cose più difficili da mettere in atto), che occorre esercitare, e insegnare a esercitare, quel pensiero critico che oggi è quanto mai debole e poco diffuso.
Per capire, e distinguere, quando occorre obbedire e quando, eventualmente, occorre dire no.
Se è vero, come credo, che spesso è solo attraverso un no (chiaro, argomentato, fondato, consapevole, ma anche duro e netto) che si può riuscire ad affermare, nella realtà, una nuova realtà che 'ci vada meglio'.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

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