Son dunque gli stessi popoli che si fanno dominare, dato che, col solo smettere di servire, sarebbero liberi. È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola, che, potendo scegliere se esser servo o libero, abbandona la libertà e si sottomette al giogo: è il popolo che acconsente al suo male o addirittura lo provoca. Se gli costasse qualcosa riconquistare la libertà, non ve lo spingerei affatto, benché riacquistare i propri diritti naturali e, per così dire, tornare a essere da bestia uomo, sia ciò che dovrebbe stargli più a cuore. E tuttavia non pretendo in esso una così grande audacia, ammetto che preferisca una certa qual sicurezza di vivere miseramente piuttosto che una speranza dubbia di vivere a proprio agio. Ma come?, se per avere la libertà occorre unicamente desiderarla, se è necessario un semplice atto di volontà, può mai esserci un popolo che ritenga di pagarla troppo cara potendo ottenerla con il solo auspicio, e che deplori la volontà di recuperare quel bene che invece andrebbe riscattato a prezzo del proprio sangue, quel bene la cui perdita dovrebbe rendere a ogni uomo d’onore la vita amara e la morte gradita? Come il fuoco, partito da una piccola scintilla, s’ingrossa e man mano rinvigorisce, e quanto più legno trova, tanto più ne brucia, e senza che vi si getti acqua per spegnerlo, solo non aggiungendovi più legno, non avendo più nulla da consumare, si consuma da solo, perde vigore e non è più fuoco; allo stesso modo i tiranni, quanto più saccheggiano, tanto più pretendono, quanto più rovinano e distruggono, tanto più ricevono, quanto più li si serve, tanto più si fortificano e diventano sempre più forti e più capaci di annientare e distruggere tutto; ma se non gli si consegna niente, se non gli si obbedisce affatto, senza combattere, senza colpirli, ecco che restano nudi e sconfitti, non sono più nulla, come rinsecca e muore il ramo che non riceve più linfa dalle radici.
*** Étienne de La BOÉTIE, 1530-1563, filosofo, scrittore, giurista, politico francese, Discorso sulla servitù volontaria, testo clandestino fino al 1572, anno della prima pubblicazione con il titolo II contro uno, Chiarelettere, 2011
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