Per farla breve: l’amore non è qualcosa che si possa trovare, non è un’objet trouvé o un ready-made. E’ qualcosa che richiede di essere e creato e ricreato ogni giorno, ogni ora; che ha bisogno di essere costantemente risuscitato e riaffermato e richiede attenzione e cure. In linea con la crescente fragilità dei legami umani, con l’impopolarità degli impegni a lungo termine, con l’eliminazione dei «doveri» dai «diritti» e l’elusione di ogni obbligo che non sia «verso se stessi» («me lo devo», «me lo merito», e via dicendo) si tende a vedere nell’amore qualcosa che è perfetto dall’inizio oppure è fallito, e che dunque è meglio abbandonare e sostituire con esemplari «nuovi e migliorati», si spera davvero perfetti. Un simile amore non sopravvivrà al primo piccolo litigio, e tanto meno al primo serio disaccordo e scontro.
La felicità - per richiamare la diagnosi di Kant - non è un’ideale della ragione, ma dell’immaginazione. E lo stesso Kant avvertì che dal legno storto dell’umanità non si sarebbe mai potuto ricavare nulla di dritto.
John Stuart Mill parve riunire entrambe le nozioni in un avvertimento: chiediti se sei felice e cesserai di esserlo. Gli antichi probabilmente già lo sospettavano ma, guidati dal principio ‘dum spiro, spero’ - finché c’è vita, c’è speranza -, sostenevano che senza duro lavoro la vita non offrirebbe nulla che abbia valore. Duemila anni dopo, questo suggerimento non ha perso affatto la sua attualità.
*** Zygmunt BAUMAN, 1925, sociologo polacco, docente emerito all’università di Leeds, L’arte della vita, Laterza, 2009
In Mixtura 1 contributo di Zygmunt Bauman e una mia recensione al suo ultimo libro (coautore Ezio Mauro, Babel, laterza, 2015) qui
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