[D: Professore, da giorni si parla di "cultura dello sballo". È un termine accettabile scientificamente? E che differenze ci sono con le emergenze-droga dagli Anni 70 in poi?]
«Sì, è una cultura che merita questo termine umile e mortificante e indica uno scenario nuovo, diverso da quelli precedenti della "cultura del buco" e "della canna". La generazione che assumeva eroina lo faceva attraverso la siringa in un clima funebre, disperato, che finiva per portare in prigione o alla comunità di recupero. Poi è arrivata la generazione dei cannabinoidi, che fuma in un clima allegro pieno di risate e amicizia. Non muore nessuno né tendenzialmente si finisce in prigione. Si crea dipendenza dal gruppo, che risolve all'adolescente quelle calamità che sono per lui la solitudine e la noia. Naturalmente i danni ci sono perché il fumo impedisce radicalmente di studiare e pensare».
[D: E lo 'sballo', psicologicamente, cos'è?]
«Rappresenta il bisogno che certi ragazzi hanno di un rito iniziatico, di passaggio da utenti di canna e birretta a "eroi" che osano l'inosabile. Solo così si entra nel gruppo dei più grandi che l'hanno sperimentato. Come tutti i riti iniziatici è crudele e tutti sanno che qualcuno non ce la farà e rimarrà mutilato o morirà. Quindi per affrontare il rito ci vogliono luci psichedeliche, musica assordante che penetra il corpo e lo fa vibrare, e poi la danza corale, mistica per ore e ore. Ecco, in questo clima, la proposta di osare l'inosabile e di rischiare può avere un effetto suggestivo su ragazzi tentati da tutto ciò. È come accettare di fare bungee jumping senza elastico».
[D: Lei parla di riti e discoteche come templi con i loro sacerdoti e la loro mistica. Non sarà che aver tolto il sacro dalla vita dei giovani lo fa cercare sotto altre forme?
Certamente, ci sono tante cose che sono state eliminate oltre alla dimensione del sacro, il senso del limite, l'autorevolezza del padre, istituzioni che fungevano da baluardo rispetto alla follia e alla morte. Con l'abolizione dei riti iniziatici i ragazzi non sanno più a che punto sono della scala gerarchica. Persino il fidanzamento, con le sue promesse e i suoi anellini serviva a marcare l'assunzione di un impegno. Ne sorridiamo ma sono cambiamenti che non è possibile rimangano senza sostituzioni simboliche».
[D: Il "gruppo": sono più complici che amici?]
«I ragazzi ogni giorno sono sdraiati sul gruppo per ore, e con quello prendono le decisioni importanti e rischiose. Poi verso sera compare l'adulto...»
[D: Che possono fare i genitori?]
«Molto. Se sono poco presenti non svolgono la loro funzione protettiva. Ho parlato con ragazzini che hanno detto di no a un amico che gli voleva .far provare una canna. Dicevano che gli veniva in mente la faccia del papà che prima di uscire si raccomandava con sguardo d'intesa. Non è questione di regole, ma di relazione; se c'è, il ragazzo la rispetta e si rispetta. Ed è meno dipendente dal gruppo».
*** Gustavo PIETROPOLLI CHARMET, psicoterapeuta, esperto di problemi degli adolescenti, intervistato da Sara Ricotta Voza, «Per i giovani è un rito dal sapore iniziatico», 'La Stampa', 6 agosto 2015.
Sempre in Mixtura, 1 altro contributo di Gustavo Pietropolli Charmet qui
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