Questo è un breve racconto autobiografico di un mio “simultaneo” addio di qualche anno fa.
E’ una vicenda minuta, per certi versi insignificante oltre che assai comune nella vita di chiunque. Eppure a distanza di tempo ho iniziato a guardare questi fatti sotto una luce positiva che, inizialmente, non avrei mai sospettato di poter loro assegnare. Così ho pensato di condividere la presunta utilità della riflessione.
Quando avevo 15 anni incontrai per caso Dylan Dog, il fumetto della Sergio Bonelli editrice: fu amore a prima vista!
Ricordo esattamente la data e le circostanze: era l’estate del 1990 ed ero ospite a Norcia da un mio carissimo amico durante le vacanze estive. Lui me ne consigliò la lettura e da quel giorno, per tanti anni, non seppi più fare a meno di lui. Del personaggio cominciai ad amare ogni cosa: il mestiere che faceva (Indagatore dell’incubo), lo stile di vita (quale adolescente non vorrebbe aver avuto tutte le donne amate da Dylan?), gli hobby, il look, il carattere malinconico e introspettivo. Insomma attraverso la sua conoscenza, che approfondivo di mese in mese tramite la lettura, costruii anche un pezzo della mia identità di ragazzo, forse addirittura dei valori che la sorreggevano.
Col passare del tempo i miei gusti si modificarono e si arricchirono anche di altre letture, chiaramente non solo fumettistiche. Ma Dylan Dog era sempre una presenza costante. Ritagliarmi quella mezz’ora una volta al mese per incontrarlo era un momento sacro, che non andava disperso banalmente. C’era infatti l’attimo perfetto per incontrarsi e, anche se non avrei saputo descriverlo agli altri, ero sicuramente in grado di riconoscerlo.
Poi da un certo giorno in poi, dopo oltre 10 anni di assidua e felice frequentazione, alcuni albi cominciarono a sembrarmi un po’ stonati, ripetitivi, e quindi a deludermi. Era una delusione che, come fra tutti gli innamorati, cercai di dissimulare dicendomi che era una crisi transitoria di coppia e che presto sarebbe passata.
Siccome invece non passò, arrivai anche a scrivere alla redazione di Sergio Bonelli, lamentando il peggioramento qualitativo delle storie. Ne ricevetti una risposta fredda e un po’ sdegnata, ma d’altra parte come si possono spiegare ad altri le ragioni di una propria disillusione amorosa?
Insomma ero in crisi e il nostro rapporto non filava più liscio come un tempo. Ma il colpo di grazia al mio eroe lo portò inaspettatamente una ragazza che conobbi in quegli anni.
Era l’estate del 2002 e quando la incontrai molte cose passarono in secondo piano, fra cui le incomprensioni tra me e Dylan. C’era talmente tanta inaspettata gioia in quel che vivevo che il resto contava ben poco.
Poi anche fra me e lei sorsero dei dissapori: all’inizio solo episodici e transitori, poi ricorrenti e logoranti. Ma la cosa che mi lasciò di stucco fu la facilità con cui lei decise di disfarsi di tutto questo: era la primavera del 2003 e il ricordo di quei giorni mi procura ancora oggi una fitta dolorosa. Le bastò un incontro e una lettera che mi lasciò nelle mani per dirmi addio, a me che non sapevo come sbarazzarmi di nessuna delle cose che mi circondavano. Mi accorsi che di lei, nonostante i nostri malesseri, non avrei affatto voluto sbarazzarmi così precocemente, ma non ci fu modo di replicare. L’uscio si chiuse in maniera definitiva.
Logorato dalle pene d’amore e dall’ostentata disinvoltura che le indussero, ebbi la mia nèmesi abbandonando contemporaneamente Dylan Dog: era l’aprile del 2003 e l’ultimo albo che comprai fu il n. 200.
Da allora non ci siamo più rivisti, se non un paio di volte in maniera del tutto occasionale, né con lei né con Dylan: in entrambi i casi ho avvertito una forte emozione iniziale alla quale però è seguito ben poco. Dei nostri lontani amori non era rimasto più nulla. Quei brevi incontri mi hanno soltanto ricordato due storie, una vera e l’altra su carta, che avevano emozionato un ragazzo e un adolescente, ma che non parlavano più all’uomo che stavo cercando di diventare. Ostinarsi non sarebbe servito a niente.
Mi piacerebbe raccontare che oggi ho un rapporto sereno ed equilibrato con entrambi, che ci permette di tenerci in contatto senza ferirci, con un sano distacco. Purtroppo in almeno uno dei due casi le cose non stanno ovviamente così…
Tuttavia queste due storie mi hanno lasciato un prezioso insegnamento sul valore positivo delle separazioni e del saper lasciar andare certe cose: talvolta non è poi così male dirsi addio e ritrovarsi soltanto nella trasfigurata dolcezza dei nostri ricordi.
*** Valerio BIANCHI, per Mixtura
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