Contrastando apertamente un articolo uscito a metà agosto su «Critica fascista», intitolato Il regno della noia, il capo del fascismo aveva scandito parole chiare di dissenso: «Io contesto nella maniera più assoluta che la stampa sia il regno della noia e dell’uniformità». Mussolini aveva proposto una metafora musicale: «Considero il giornalismo italiano fascista come un’orchestra», «il “la” è comune» ed è un la che «il giornalismo dà a se stesso. Egli sa come servire il Regime».
Ma poi c’è «la diversità degli strumenti, ed è appunto la loro diversità che evita la cacofonia e fa prorompere invece la vera armonia; oltre agli strumenti c’è la diversità dei temperamenti e degli artisti». Ecco perché ogni giornale deve diventare uno «strumento definitivo, cioè individualizzato, cioè riconoscibile nella grande orchestra». E la grande orchestra non può non suonare la musica del «Regime», del quale va illustrata «l’opera quotidiana», «creando e mantenendo un ambiente di consenso intorno a quest’opera». Dunque, la missione indicata dal duce, anche se non del tutto esplicitata, è chiarissima: sembrare diversi per magnificare meglio il regime, offrire l’apparenza di un’orchestra per fugare l’impressione di una costrizione, di una pubblicazione imposta, di un’unica emittente che ispiri tutti i mezzi di informazione. Conferendo, in qualche modo, l’illusione di una stampa libera. Si legge in una velina del 24 giugno 1932: «Per evitare l’uniformità dei giornali da ora in poi l’Ufficio stampa distribuirà ai giornali fotografie differenti dei vari avvenimenti». Il 19 settembre 1933: «Il conte Ciano ha deplorato che alcuni giornali ai quali sono stati inviati dall’Ufficio stampa del Capo del Governo articoli di propaganda non li abbiano pubblicati. Ciò è tanto più increscioso in quanto essi non sono preparati a serie ma vengono inviati diversi a ogni giornale».
*** Fabio MARTINI, giornalista e saggista, La fabbrica delle verità. L'Italia immaginaria della propaganda da Mussolini a Grillo, Marsilio, 2017
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