sabato 11 marzo 2017

#FAVOLE & RACCONTI / Quanto basta (M. Ferrario)

C’era una volta un vecchio re a capo di un piccolissimo regno: per tutta la sua vita aveva improntato il suo governo ai valori della pace e della serena convivenza e per questo era amato da ogni suddito e benvoluto da ogni Paese confinante.

Un giorno, sentendo il peso degli anni e preparandosi a passare lo scettro al figlio maggiore, il re decise, come ultimo atto del suo regno, che avrebbe lasciato a tutti i contadini un quinto delle terre del Paese.
Tutta la popolazione viveva di agricoltura dai tempi dei tempi e le emigrazioni recenti ne avevano ridotto considerevolmente il numero: la decisione del re, dunque, avrebbe permesso ai pochi sudditi rimasti di diventare finalmente padroni dei campi che continuavano a coltivare.
Venne quindi emanato un editto: ogni suddito avrebbe ottenuto la quantità di terra che sarebbe stato in grado di comprendere in un percorso circolare, da compiere a piedi dall’alba fino al tramonto.

Ai vari punti prefissati, nei giorni successivi, si presentarono in tanti, secondo un rigoroso sorteggio che stabiliva il calendario delle prove: ogni mattina, venivano messi in palio diversi appezzamenti, sicuramente più ampi di ogni possibile capacità umana di percorrerli tutti, e la sera la gente si riuniva all'arrivo per festeggiare i nuovi proprietari.

Alla prova si iscrisse anche un giovane, noto per la sua ambizione e il desiderio incontenibile di arricchirsi. 
Si vantava di essere diverso dagli altri sudditi, perché non aveva nulla da spartire con i contadini, e ripeteva che presto sarebbe emigrato nella capitale del grande regno confinante, dove fiorivano i commerci e tanti suoi amici avevano fatto fortuna.

Quando si diffuse la voce che anche lui, come ogni altro contadino, avrebbe partecipato alla prova per la distribuzione della terra, molti si meravigliarono.
«Che te ne fai proprio tu della terra che ti conquisterai, se hai deciso che non la coltiverai mai, perché tanto te ne andrai a vivere nel regno qui vicino e farai il commerciante?» gli chiese un vecchio.
Il giovane sorrise e nel rispondere non nascose un tono di compatimento. 
«La venderò a buon prezzo, vecchio E il gruzzolo mi servirà per investire nelle mie attività commerciali nel nuovo Paese. Lo sapete, non sono e non voglio restare un poveretto come voi. Io ho ben altro in testa per il mio futuro. Altro che fare il contadino per tutta la vita...».

Nel giorno previsto, ai primi timidi chiarori del mattino, quando il funzionario-capo del re diede il via, il giovane partì deciso.
Si era allenato duramente nella settimana precedente e il fisico era tonico e muscoloso: sprizzava energia da ogni poro della pelle. 
Procedeva a passi ampi e svelti, tranquillo e sicuro di sé: in linea con la strategia che aveva studiato, allargava sempre più la circonferenza del cerchio da completare prima di sera. 
Certo, lo sapeva, non doveva dimenticarsi di stimare con esattezza il tempo per il rientro: se al tramonto non si fosse ritrovato nel punto esatto di partenza, tutta la fatica sarebbe stata inutile.

Accumulava passi su passi, camminando a grandi falcate.
La terra su cui poggiava i piedi era molto bella: grassa, fertilissima, avrebbe dato raccolti abbondanti e rigogliosi. E lui l'avrebbe venduta a un ottimo prezzo: sapeva di essere bravo nelle contrattazioni.

Il ragazzo non badava a dosare la fatica: spingeva l'andatura al massimo, tanto che le gambe cominciavano a dare i primi segnali di dolore. 
L'aveva messo in conto. Non sarebbe stata una passeggiata, si era preparato anche psicologicamente a sopportare lo sforzo fisico e l'unica cosa che in quel momento aveva in mente era il disegno di un cerchio sempre più ampio: non smetteva di visualizzarselo in testa, pregustando già tutta la circonferenza una volta che fosse riuscito a completarlo.

Il sole aveva appena superato la verticale del mezzogiorno: i raggi, ancora forti e cocenti, avrebbero pian piano cominciato a intiepidirsi. 
Forse, bisognava pensare al ritorno.
Ma il giovane ripeteva a se stesso:
«No, ancora non mi basta… tra poco mi fermo, ma per adesso non mi basta… sì, lo so, devo chiudere il giro e tornare al punto da cui sono partito, però adesso… ecco, ancora un po’, solo questo prato, ancora quegli alberi, solo questo pezzetto...». 

A metà pomeriggio, le ombre che si allungavano costrinsero il ragazzo a decidere. 
Non poteva più continuare: il sole stava iniziando a calare, il tramonto era prossimo, urgeva riprendere il cammino contrario. 
Il giovane abbracciò con gli occhi tutta la terra che aveva chiuso nel suo giro sino a quel momento e ammise: 
«Sì, questa mi può bastare».
E, sia pure a malincuore, invertì la marcia.

Mentre rivolgeva il cammino indietro, ogni tanto alzava il capo e guardava il sole: sembrava spostarsi a velocità crescente, come volesse andarsene a letto più in fretta possibile. Tra lui e il sole si era accesa una gara: e non doveva essere il sole a vincere. 
Era tardi.
Per conquistarsi più terra possibile il ragazzo ammise che aveva disegnato un cerchio enorme e ora la strada per rientrare era tanta. Forse troppa. Ma doveva farcela, altrimenti tutta la fatica sarebbe stata vana. 
Bastava aumentare il ritmo. 
E poi, era programmato: aveva in riserva, per l'ultimo pezzo, la corsa sfrenata, da fare a rotta di collo e giocandosi il tutto per tutto.  

Scrutò l'orizzonte, sperando di vedere almeno l'ombra sfocata della folla dei funzionari del re pronti a registrare l'arrivo e i soliti contadini curiosi di sapere, ogni sera, quanta terra il nuovo concorrente si fosse conquistato.
Invece, nulla.

Per quanto mantenesse un passo da campione, la camminata non era più sufficiente. 
E cominciò a correre: prima riuscendo a controllare il respiro e poi, sempre più, ansimando. 
Tra poco la sera si sarebbe portata via il sole e, se lui non ce l’avesse fatta, con il sole anche la sua terra.

Il ragazzo era esausto: aveva il cuore in bocca, la lingua secca, il sudore che gli colava sugli occhi, la faccia stravolta. 
No, non ce l'avrebbe fatta.
E invece sì, doveva riuscirci: la terra sarebbe stata sua.

Il re, dal piccolo palco che era stato approntato per l'occasione, guardava i contadini che stavano attendendo il giovane: alcuni avrebbero partecipato alla prova nelle settimane seguenti, ma molti ormai avevano completato il percorso nei giorni passati, assicurandosi la proprietà delle terre su cui avevano camminato.
Non erano stati  avidi: avevano fatto previsioni prudenti sul tempo necessario per completare i loro 'cerchi' ed erano stati premiati. Nessuno poteva lamentarsi dell'appezzamento che si erano guadagnati: avrebbero avuto terra abbondante e fertile da coltivare.
Anche il re era soddisfatto: il suo desiderio di regalare, prima della morte, un quinto delle terre del Paese a chi viveva del lavoro dei campi si stava realizzando.

Lontano, all'orizzonte, i funzionari intravvidero un puntino: qualcuno estrasse un cannocchiale e annunciò che sì, era il giovane, che correva a perdifiato in direzione dell'arrivo. 
Trascorsero alcuni minuti. 
Il sole continuava a calare dietro la montagna alle spalle del re: ancora uno spicchio e sarebbe scomparso. 
Il giovane ormai era vicino. 
I funzionari spostavano in continuazione lo sguardo: prima sulla corsa ansimante, ormai decisamente disperata, del ragazzo, poi sul sole che se ne stava inesorabilmente andando.
Qualcuno lanciò l'idea di scommettere: e tutti, funzionari e contadini, puntarono denaro sull'insuccesso del giovane.
Infatti, era vero che era sempre più vicino ma ormai, più che correre, arrancava, con il corpo scomposto e traballante e la faccia cianotica.
E la maggioranza giurava che sarebbe crollato a terra prima del traguardo: lui, che voleva tutto, non si sarebbe preso neppure una zolla di terra.

Invece, il ragazzo ce la fece.
Un secondo prima che il funzionario-capo del re sanzionasse il termine della prova, mentre l'intero disco del sole precipitava a nascondersi dietro la montagna, lui pose il piede sulla linea magica da cui aveva iniziato la camminata all’alba.
L'obiettivo era stato raggiunto: la terra era sua.

Il giovane riuscì ad allargare il viso, ormai irriconoscibile, in un sorriso. 
Alzò le braccia in segno di vittoria.
E si accasciò. 
Sulla terra che si era conquistato.. 
Stremato. 

Gli si avvicinò il funzionario-capo per consegnargli la bolla, firmata dal re, che sanciva la sua nuova proprietà.

Il ragazzo era sdraiato, supino.
Immobile.
Il funzionario lo chiamò, ordinandogli di alzarsi: gli stava porgendo il documento formale, con i bolli e la ceralacca.
«Devi solo mettere una firma, ragazzo. Ti sei  portato via un appezzamento di terreno che mai nessuno finora si era conquistato. Per godertelo, però, devi ancora fare una piccolissima cosa: alzarti e mettere subito una firma qui. Se non firmi, la terra resta di proprietà del re e avrai corso per nulla».

Il giovane non rispose.
Il funzionario insistette, trattenendo l'impazienza.
«Non farti pregare, ragazzo. Avrai tempo per riposarti. Te lo dico per l'ultima volta: alzati!».

Allora il funzionario, decisamente irritato, si chinò su di lui e con una manata scortese gli voltò la faccia, che giaceva schiacciata sul terreno. 
Il giovane aveva gli occhi sbarrati, una smorfia alla bocca, un rivolo di sangue sulle labbra.

Lo seppellirono la mattina seguente.
Poca gente era presente al funerale. 
Nel calarlo nella fossa, qualcuno gettò sulla bara un pugno di terra. 
Della 'sua' terra.

Il più vecchio dei vecchi commentò: 
«Questa è la terra di cui ha bisogno un uomo: quanto basta per coprire il corpo e dimenticare l’anima sotto di essa».

*** Massimo Ferrario, Quanto basta, 1999-2016, per Mixtura - Libera riscrittura di un racconto citato da Biljana Srbljanovic, Ora la guerra è finita, non ci dimenticate, rubrica ‘il diario’, ‘la Repubblica’, 23 giugno 1999.


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