La semplice definizione di obiezione di coscienza si trova in qualunque dizionario, dove si legge essere il rifiuto di sottostare a una norma dell’ordinamento giuridico, ritenuta ingiusta, perché in contrasto inconciliabile con un’altra legge fondamentale della vita umana, così come percepita dalla propria coscienza.
Quanto, quando, come e perché se ne permetta o meno l’esercizio nel nostro paese è questione invece assai più complessa, almeno quanto il comprendere esattamente cosa dover qualificare come “coscienza”.
Nonostante siano passati lustri su lustri dal riconoscimento del diritto all’aborto, ancora l’obiezione del personale medico e infermieristico resta pienamente riconosciuta dalla l.194. Forse l’unico punto della normativa, perennemente sotto attacco clericalconfessionale, che sembra non essere mai messo in discussione e che ha permesso e permette sempre di più in molti ospedali la sostanziale inesistenza del servizio di interruzione volontaria della gravidanza (ivg). E che ha portato alla severa censura del Consiglio di Europa: aborti troppo difficili e, paradosso crudele doppiamente sulla pelle altrui, discriminazione nei confronti dei pochi medici non obiettori.
Per la nostra riconfermatissima Lorenzin non è vero niente, funziona tutto una meraviglia. Tanto più che, parole sue, la 194 non sancisce il diritto all’aborto (estrema possibilità!) ma è finalizzata al riconoscimento del valore sociale della maternità.
E ci risiamo con la Fertility. Ministra, da donna a donna: grazie, eh.
Ma visto che amiamo distinguerci, dove non bastano la negazione della realtà e i giochi di parole arriva l’eccezione fantasiosa creata ad hoc dal progressista giudice di turno. È notizia recente infatti l’assoluzione, dopo tre anni di procedimento penale, della farmacista (di farmacia comunale) che rifiutò di vendere dietro ricetta la cosiddetta “pillola del giorno dopo” appellandosi a questioni di coscienza.
Non esiste previsione normativa di obiezione di coscienza per i farmacisti e in ogni caso il prodotto in questione è contraccettivo e non abortivo. Omissione di atti di ufficio e interruzione di pubblico servizio, quindi. Lo pensava anche il pm, che aveva chiesto quattro mesi di condanna. E invece no. Perché il giudice ha ritenuto non solo bastevole, ma sovraordinata alle regole comuni, la singola coscienza. Anche quando questa viola diritti altrui. Coscienze altrui.
Sono quindi tutte uguali, hanno tutte lo stesso peso e lo stesso valore queste coscienze, queste etiche individuali, questi patrimoni valoriali che, se contrastati, riescono a prevalere sul resto?
Altro esempio recente. Venezia, una cameriera di hotel testimone di Geova riconosce un suo correligionario francese in vacanza fedifraga. Denuncia la cosa al suo superiore (di culto) che a sua volta smaschera il marito infedele. Infedele sì, ma anche alquanto contrariato con la violazione della privacy da parte dell’hotel di cui sopra, che provvede pertanto a licenziare la dipendente.
E invece no. Il giudice del lavoro la reintegra, perché non ha violato alcuna privacy, ma ha solo dato “corretta esecuzione” alle regole condivise dei testimoni di Geova, a quanto pare prevalenti sulle comuni tutele del cittadino qualunque.
Se la cameriera fosse stata semplicemente la miglior amica della moglie tradita, per dirne una, senza obblighi confessionali di sorta, quanto sarebbe stata simile la sentenza? Quanto avrebbe pesato la sua, di coscienza?
L’impressione costante è che contino di più quelle che si appellano e si ammantano di precetti e dogmi. Che solo a queste “coscienze” vengano dalle istituzioni riconosciute eccezioni e privilegi, invece di utilizzare come linea guida la tutela collettiva dei diritti umani individuali. Che solo e sempre più a queste si applichi il protezionismo multiculturalista così pericolosamente foriero di divisioni e incompatibilità con il vivere comune, con il rispetto reciproco. A tutto questo, io obietto.
*** Adele ORIOLI, collaboratrice UAAR, Obiezione, vostro Onore?, 'MirìcroMega online', 4 gennaio 2017, qui
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