Ho atteso più di un giorno sperando di vedere qualcuno riconoscersi nei 39 morti dell'attentato di Istanbul, ma non è avvenuto. Eppure era logico aspettarselo, perché dopotutto in quella discoteca è successa la stessa identica cosa che è accaduta al Bataclan, e dopo eravamo tutti Parigi. Come saremo stati Orlando. O Nizza. O Brussels.
Why nobody stands up for Istanbul? Pourquoi personne ne dit "Je suis Turquie"?
I motivi mi sembrano tre.
Il primo è l'ignoranza: per due terzi degli italiani Istanbul è supremamente altrove, una metaAfrica, una sottoIndia, una paraCina, un qualunque corru de sa furca, un altro dannato paese pieno di musulmani dove la gente si ammazza per genetica, perché quelli sono fatti così, mica ci possono fare niente. E' triste che siano morti, ma non è grave. Non come al Bataclan. Non come quando a morire è qualcosa di nostro.
Il secondo è Erdogan. In questo ci sono cascati anche molti amici che di solito fanno analisi acute. Erdogan ci è così inviso che proprio non ci viene di diventare tutti solidali con il popolo di cui lui è il capo di stato eletto. Dire "Je suis Turquie" costringerebbe a pensare volenti o nolenti che potremmo essere anche un po' Erdogan, e allora meglio di no, pazienza per i morti. Anzi, a dirla tutta, forse i morti sono proprio il risultato delle politiche di Erdogan (giuro, l'ho letta). Eppure nessuno di noi ha detto che l'attentato al Bataclan era frutto delle politiche dello stato francese dalle colonie in qua. Abbiamo detto solo che era una cosa orribile e che eravamo solidali con i francesi, insieme al loro presidente.
Il terzo motivo per cui di Istanbul ce ne freghiamo è l'Islam, o meglio l'islamofobia. L'opinione pubblica italiana si è talmente bevuta la storia dell'islamizzazione della Turchia ad opera di Erdogan che giustamente non riesce a capire il senso di un attacco estremista islamico contro la popolazione di un paese islamico. Nella nostra testa l'Islam estremo ha come obiettivo l'Occidente cristiano e laico, mica altri musulmani, specialmente quelli di un paese nel quale da mesi abbiamo creduto che ci fosse un'escalation di radicalizzazione religiosa. Il buon senso suggerirebbe a quel punto di considerare l'ipotesi che la Turchia dove a capodanno si balla in discoteca forse non sia per nulla un paese in corso di radicalizzazione islamica, nonostante resti una democrazia fragile con seri problemi di autoritarismo politico. Eppure questa lettura non ci piace: sarà magari perché ci costringe a pensare la Turchia come un qualunque paese europeo coi suoi problemi, anzichè la semi-teocrazia dittatoriale che ci hanno venduto i nostri media? Preferiamo dirci che quei 39 morti sono un regolamento di conti tra musulmani a diversa gradazione di intensità, una smitragliata a caso in un posto dove facevano musica occidentale non si capisce bene perché e per chi. In ogni caso "gli spari sopra" non erano per noi.
E' per miopie come questa che la storia ci succederà sempre come cosa inattesa.
*** Michela MURGIA, scrittrice, 'facebook', 2 gennaio 2016, qui
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