La 'manfrina' sul referendum costituzionale più o meno personalizzato da Renzi, e quindi trasformato in plebiscito, mi pare francamente essere diventata stucchevole.
Così come secondario mi pare il fatto che ora si continui a sottolineare, in genere positivamente, sia il passo indietro compiuto da Renzi, che la 'sedicente' autocritica di Renzi stesso formulata in pubblico dopo i rimbrotti del presidente emerito Napolitano, grande sponsor della riforma costituzionale (imposta - è bene ricordarlo - a un Parlamento delegittimato dalla sentenza della Consulta).
Tra parentesi.
Dico 'sedicente' autocritica perché, come è peraltro nella struttura di personalità, visibile a occhi nudi e senza neppure avere un master in psicologia, del personaggio in questione, l'autocritica, a leggerla bene, suona più 'critica' che 'auto': infatti l'interessato ha precisato più volte, in questi giorni, non tanto di aver sbagliato nel promettere che se ne sarebbe andato a casa se sconfitto al referendum, quanto piuttosto di aver comunicato cose che hanno fatto credere una simile eventualità (dunque della serie, tanto per non 'cambiare verso', 'la colpa è degli altri'...). E comunque ha fatto capire che, se pure d'ora innanzi lui si tappa la bocca per non parlare più di sé e del suo futuro, lui mantiene le sue idee.
Ma lasciamo perdere questi fatterelli.
Il punto vero, che oggi scontiamo senza poterlo più rimediare, è 'a monte', come si diceva una volta: cioè all'origine.
E dimostra, se ce ne fosse bisogno, quanta ragione avesse Piero Calamandrei quando, durante i lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, diceva: «Nella preparazione della Costituzione, il governo non deve avere alcuna ingerenza. (...). Nel campo del potere costituente il governo non può avere alcuna iniziativa, neanche preparatoria (...). Quando l’Assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti».
Il problema è questo.
Se tu, come presidente del consiglio, ti intesti una riforma di tale portata (non viene proposta la sostituzione di un articolo singolo della Costituzione, ma vengono rottamati 47 articoli sui 139 originari), non solo firmando la proposta con il tuo nome (accanto a quello della ministra Boschi), ma soprattutto investendo tutto il peso personale e del governo nel promuoverne e 'spingerne', impositivamente, il varo, considerando la nuova legge strumento imprescindibile e fondamentale per la vita/sopravvivenza futura del paese (la 'riforma di tutte le riforme'), ne consegue, per forza, che il referendum popolare, cui ricorrere in caso di non approvazione 'sufficiente' in parlamento, diventa un test del governo e tuo personale e perde il carattere di 'merito costituzionale' assegnatogli dalla Costituzione.
Cioè: diventa comunque un plebiscito, anche se non viene dichiarato: perché è stato personalizzato alla nascita.
E' questo che è gravissimo, ovviamente.
Perché, con buona pace di chi chiede di stare ai contenuti (tra l'altro di per sé quanto mai ampi e complessi e non risolvibili in un un solo quesito, per quanto spaccato furbescamente e ingannevolmente in 5 sottoparti inserite nella scheda elettorale), è ovvio che il voto sia influenzato, quando non determinato, dal consenso/dissenso espresso dai cittadini alla politica del governo di questi due anni.
E il referendum sulla Costituzione si trasforma in un voto elettorale su una politica: con il risultato, allucinante, che non si valuta più una Costituzione, che deve avere (sperabilmente) una vita oltre quella di un governo, ma un presidente del consiglio, che dura (ancor più sperabilmente) lo spazio di un governo.
Insomma: un pasticciaccio brutto, oltre che pericoloso, regalatoci dalla smania di protagonismo e di potere, unita alla ignoranza dei fondamentali di una democrazia costituzionale, di un giovane politicante d'assalto, sostenuto dalla oligarchia di un 'giglio' magico e da una 'claque' di tifosi 'yesmen'.
Un politicante che cerca di incantare con la retorica, facendo credere che tutto il nuovo e bello e buono sia cominciato con lui e che tutto il vecchio, prima di lui, sia, di per sé, inservibile e negativo, e come tale da rottamare al più presto.
Come è avvenuto per la Costituzione: assurta a causa e capro espiatorio di ogni male della politica italiana.
Più comodo, naturalmente, oltre che facile e semplicistico, cambiare la Costituzione piuttosto che la politica.
In fondo per cambiare la politica #BastaUnSì alla pura dichiarazione di volerla cambiare: gli slogan costano il prezzo della commessa dell'agenzia pubblicitaria e si trova sempre gente che ancora ci crede.
Anche se il costo 'vero', purtroppo, con il Sì in questo caso, va ben oltre quello pagato ai 'creativi' della consulenza.
*** Massimo Ferrario, Riforma costituzionale, il pasticciaccio brutto di un giovane d'assalto, per Mixtura
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