sabato 29 ottobre 2016

#FAVOLE & RACCONTI / Il ragazzo timido (M. Ferrario)

Un giovane molto timido, una sera, si reca al bar di un paese vicino al suo: è un locale che ha aperto da qualche mese e lui non c'era ancora stato.

In genere esce con pochi amici, che conoscono le sue paure e lo incitano sempre a vincere la timidezza, a darsi da fare, a conoscere gente, ad avviare nuove relazioni, specie con le donne.
Ma quella sera tutti avevano impegni vari e lui si è ritrovato solo: non aveva voglia di stare chiuso in casa e si è deciso ad andarsene fuori anche senza l'appoggio del solito gruppo.

Si accomoda ad un tavolo, ordina una birra e un panino. 
Beve e mangia con calma, mentre osserva gli altri clienti: qualche coppia, molti ragazzi, quattro vecchi che giocano a carte.

In un angolo, sola, una ragazza legge un libro: ogni tanto si gusta la coca-cola che ha davanti.
Non è particolarmente attraente, ma non è neppure brutta: ha un’aria pulita, fresca, accattivante.

Il giovane mantiene gli occhi su di lei, cercando di non farsene accorgere. 
Trascorre almeno un quarto d'ora.
Alla fine si decide.
Trova un coraggio che non credeva di possedere, si alza e si avvicina al tavolo della ragazza. 

Lei alza gli occhi dalle pagine del libro, continuando a tenerlo in mano.
Lui, con fatica e inciampando nelle parole, riesce a sussurrarle: 
«Scusami, mi presento: sono Marco. Magari mi dirai di no... ma stasera sono solo... E vedo che anche tu non hai compagnia. Non ti voglio importunare, ma ti va di fare due chiacchiere...? Se vuoi puoi venire al mio tavolo, oppure mi siedo io al tuo. Che ne dici?». 

La ragazza pare pensarci.
Poi, all'improvviso, come una furia, getta con violenza sul tavolo il libro che aveva in mano, immediatamente si alza in piedi, allontana la sedia con fracasso e fa un passo indietro: ha gli occhi fiammeggianti. 
In modo teatrale, urla al giovane in modo che tutti sentano: 
«Ma per chi mi hai preso? Stai scherzando? Sono una ragazza seria, io. No, non voglio venire a letto con te, lasciami in pace!». 

In sala cessa il parlottare delle persone.
Tutti si voltano, in direzione dei due.
E in particolare fissano il ragazzo.

Lei non si accontenta.
Come rispondendo allo sguardo sorpreso degli avventori, commenta a voce alta:
«Ma tu guarda... Siamo ancora in una società in cui una donna sola non può stare seduta in un bar senza essere presa per una prostituta... Robe da pazzi...».

Lui è sbigottito.
Vorrebbe scomparire, si guarda in giro, si sente trafitto dagli occhi di tutti.

Il barista gli si è fatto vicino: con una mano lo accompagna al tavolo in cui era seduto, allontanandolo dalla ragazza.

Lei, a quel punto soddisfatta, si siede: gustandosi la scena, mentre beve l'ultimo sorso di coca-cola.

Il ragazzo cerca di tranquillizzare il barista.
«Non ho fatto niente, glielo assicuro. Non so cosa sia preso a quella tipa. E' tutta matta. Davvero, mi deve credere: le ho solo chiesto se potevo fare due chiacchiere con lei. Nient'altro. Non volevo altro, glielo giuro».

Il padrone del locale guarda il giovane: è rosso in viso, esterrefatto per l'accaduto.
«D'accordo, ora si sieda. Se vuole le porto un'altra birra: questa gliela offro io. E poi, forse, le farà bene farsi un giro fuori: c'è un'aria frizzante che le calmerà certi pensieri».

Il ragazzo obbedisce e si siede: vorrebbe ribattere che non ha nessun bisogno di calmarsi e che le sue intenzioni erano semplicemente quelle dichiarate. Ma rinuncia: capisce che non c'è il clima giusto. 
Il cameriere gli porta la seconda birra promessa dal proprietario.
Il giovane se la beve in due lunghi sorsi.
Poi si prende la testa tra le mani, come per meditare su quanto è accaduto.
La gente ha già dimenticato l'episodio e ha ripreso a chiacchierare, ma lui continua a sentirsi osservato: la cosa migliore è tornarsene a casa.
La serata è rovinata: ha il panino sullo stomaco.

La ragazza, da lontano, ha seguito il colloquio tra il ragazzo e il barista: prevede che, tra qualche secondo, il ragazzo lascerà il locale.

Allora si decide.
Attraversa tutta la sala in direzione del tavolo del ragazzo: lo fa lentamente e non passa inosservata.
Ancora una volta la clientela si zittisce e punta gli occhi sui due giovani, curiosa di seguire quel che avverrà.
Anche i quattro vecchi hanno sospeso il gioco delle carte. 
Il proprietario segue i movimenti della ragazza: ha smesso la preparazione di un cocktail, è uscito dal bancone e si maniene in un angolo, pronto a intervenire.

La ragazza ha raggiunto il tavolo del giovane: ora è ferma, ritta in piedi, silenziosa, mentre lui continua a mantenere la testa tra le mani.
Lei pensa che lui si sia accorto della sua vicinanza: anche se insiste a coprirsi gli occhi.
Lui in effetti si sente lo sguardo vicino di qualcuno addosso e immagina che sia quello di lei.
Ma decide di far finta di nulla.

Passano alcuni secondi.
Poi lei, chinandosi su di lui, gli borbotta qualcosa all’orecchio: 
«Ti chiedo scusa per la chiassata di poco fa. Lo so, sono stata violenta e ti ho fatto fare una figuraccia terribile in pubblico. Ma in qualche modo ho dovuto farlo: sai, ho colto l'occasione. E non è la prima volta. Vedi, io sono una studentessa di psicologia e sto osservando le reazioni delle persone alle situazioni fortemente imbarazzanti. Sono esperimenti che mi servono per la tesi: sto per laurearmi».

Il giovane resta immobile, gli occhi nascosti, la testa tra le mani.

Sempre sottovoce, la ragazza insiste: 
«Ti chiami Marco, mi pare. Bene, Marco, mi hai sentito? Ti chiedo scusa… Mi spiace... Non è che non volevo chiacchierare con te. Anzi, adesso, se ti va, possiamo fare conoscenza. Vuoi che mi sieda qui al tuo tavolo? Oppure possiamo fare due passi fuori e trovarci un altro bar...».

Nessuno è riuscito a cogliere le parole della ragazza, ma tutta la sala è in attesa di vedere cosa accadrà.
Il bar è piombato in un silenzio assoluto.
Il proprietario è sempre più preoccupato.
Al bancone, i camerieri hanno smesso di spillare le birre e preparare i panini: anche loro guardano.
Tutti sono in attesa del finale del film.

Il giovane continua a non dare segni di vita: le mani sempre in faccia, a coprisi gli occhi.
La ragazza, paziente, attende.
Poi, timidamente, riprova:
«Allora, che mi dici?»

All'improvviso, il giovane si scopre il viso, si alza in piedi di scatto, getta la sedia a terra con violenza, provocando un rumore assordante.
Ha la faccia alterata. 
Grida alla ragazza, ma in modo che nessuno in sala si perda una parola: 
«Cosa? 500 euro? Vuoi 500 euro? Ma sei matta? Ma chi ti credi di essere? Ti sei montata la testa. Piuttosto mi arrangio da solo».

*** Massimo Ferrario, Il ragazzo timido, 2013-2016, per Mixtura - Riscrittura di una storiella famosa, diffusa anche in internet.


In Mixtura altri miei contributi nella sezione @Favole&Racconti qui

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