Chi parla un'altra lingua, non importa se bene o male, si sarà accorto di quanto sia più facile pronunciare parole sconvenienti anche in ambienti nei quali non si dovrebbe. I tabù linguistici, in sostanza, cadono quando ci si esprime in un idioma meno familiare. La ragione è semplice: i vocaboli non significano soltanto quello che significano; si portano dietro anche un'eco delle circostanze in cui sono stati usati in precedenza e delle reazioni dei nostri interlocutori.
Il che spiega come mai il governo piddino e i suoi media abusino di termini inglesi: jobs act, stepchild adoption, spending review, family day, local tax, voluntary disclosure, l'endorsement di Obama. Recentissimo il "combat search and rescue" per definire eufemisticamente cosa i soldati italiani faranno a Mosul, che poi sarebbe la guerra. Per gli italiani sono parole emotivamente inerti: come se usassero un numero piuttosto che un nome: 3456, 7839, 9364... Trucchi da piazzisti, da pubblicitari e da azzeccagarbugli, ai quali importa solo l'effetto immediato e non i danni di medio e lungo termine, incluso quello dell'allontanamento della gente dalla politica.
Come a dire: dal latinorum di Renzo agli anglicismi di Renzi.
*** Francesco ERSPAMER, docente di studi italiani e romanzi ad harvard, saggista, 'Il pensiero inelegante', 'facebook', 17 ottobre 2016, qui
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