Dror A. Mishani, "Un'ipotesi di violenza", 2013, Guanda, 2015
traduzione di Elena Loewenthal
pagine 299, € 18.50, ebook € 9,99
Due casi intrecciati, un 'puzzle' che cattura
Una scrittura calma, ma precisa e ben costruita, che procede mettendo in fila i fatti quasi con noncuranza, senza clamore, mescolando, con combinazione abile, azione crescente e tratteggio fine dei personaggi.
E poi una storia che si sviluppa attorno a due casi, intrecciati, che producono un 'puzzle' che avvince e invita a correre verso il finale per capire come le tessere riusciranno a incastrarsi.
Sono queste, a me paiono, le caratteristiche di questo secondo volume dello scrittore israeliano Dror Mishani e del suo simpatico protagonista, il poliziotto Avraham Avrham: e sono peraltro una conferma dell'impronta assai personale dell'autore, già emersa con il primo romanzo della serie (Un caso di scomparsa).
Anche stavolta colpisce l'umanità del poliziotto, che risolve i casi pur compiendo errori, aiutato da intuito, intelligenza e ostinazione, ma spesso anche buttato fuori strada da una certa frettolosità di giudizio che gli restringe le ipotesi o gliele riduce a tesi troppo convinte.
Tutto parte da una bomba trovata in una valigia nel giardino di un asilo nido. Per giungere a risolvere questo e gli altri enigmi collegati l'ispettore Avraham deve combattere contro la diffidenza che gli provoca Uzan, il primo sospettato; poi contro l'arroganza di Chava, la maestra d'asilo, che sembra nascondere fatti importanti; e infine contro la compassione di Chaiim, un povero padre che vende panini negli uffici e si trova ad allevare da solo i due bambini piccoli dopo che la moglie sembra essere misteriosamente sparita. Tutto questo mentre attorno a lui due donne, diverse per ruolo ma entrambe per lui significative, gli inquietano la psicologia: Ilana, un'amica, ma anche l'ispettrice di polizia che ha dovuto scrivere una relazione non del tutto priva di sottolineature negative per come era stato condotto da lui il caso precedente; e Marianke, la possibile futura sposa in procinto di trasferirsi in Israele dal Belgio per il matrimonio, ma che sembra tergiversare o addirittura inspiegabilmente ritrarsi dal rapporto.
Tutti i personaggi sono seguiti con un'attenzione e una partecipazione non frequenti nei racconti polizieschi, in genere proiettati a sviluppare in velocità la vicenda nei suoi aspetti più drammatici. Ma una segnalazione particolare merita la descrizione minuta e approfondita, a tratti commovente, della figura umanissima anche se per molti aspetti oscura, di Chaiim e della sua vita solitaria, tutta presa dall'affetto per i figli.
Non bisogna essere provvisti di particolari abilità profetiche per immaginare che l'ispettore Avraham avrà vita lunga e darà ulteriori soddisfazioni al suo autore con il filone poliziesco aperto con indubbio successo.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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Bisogna solo aprire gli occhi e osservare, pensò. Alla fine tutti i punti si congiungeranno.
In ogni indagine c’è un momento in cui si ha l’impressione che il quadro d’insieme non si delineerà mai. Che ci sono troppi dettagli, che sono troppo strani, lontani l’uno dall’altro come persone sedute sulla spiaggia. Tutto immerso nel buio o nella nebbia. Ma dopo un po’ i nessi si delineano e il quadro risulta chiaro. Nel buio si accende improvvisamente un nuovo punto luminoso che svela anche gli altri, i particolari assumono un volto diverso, si caricano di significati, si congiungono. Quel che prima pareva incomprensibile diventa chiaro. Questa volta toccò a una piccola valigia contenente una falsa bomba senza carica esplosiva. E una persona che era fuggita zoppicando. Una tuta da ginnastica con il cappuccio, una telefonata minatoria fatta da una voce femminile. Una maestra d’asilo che aveva tenuto nascosta la telefonata, che forse faceva del male ai bambini ma forse no, e dei piccini, alcuni dei quali non parlavano ancora. C’erano inoltre degli strani dettagli che forse non erano legati fra loro: un indiziato che da quando era stato rilasciato usciva di casa solo per andare all’ospedale a dar da mangiare a sua madre e una donna straniera andata nelle Filippine per occuparsi di suo padre. In fondo erano partite due donne, una diretta a casa sua in Estremo Oriente e l’altra verso una destinazione ignota. (Dror A. Mishani, Un'ipotesi di violenza, 2013, Guanda, 2015)
Avraham la conosceva davvero bene. Era questa la prima regola del comandante Ilana Lis, la prima donna comandante nella storia del dipartimento investigativo del distretto di Tel Aviv: bisogna prendere in considerazione qualunque eventualità, in particolar modo quando una di esse sembra più ragionevole delle altre. E raccontare su ogni evento più versioni possibile. Spesso quella più ricca di particolari era quella vera, ma non era sempre e necessariamente così. (Dror A. Mishani, Un'ipotesi di violenza, 2013, Guanda, 2015)
Si ricordò che mentre lavoravano a uno dei loro primi casi insieme, un’indagine sul maltrattamento di anziani in un ospizio di Holon, Ilana gli aveva chiesto: «Sai qual è la differenza fra gli uomini e gli animali? Che gli uomini parlano. Non possono fare a meno di parlare, mi segui? Se hai pazienza e fai le domande giuste, alla fine tutti cominciano a parlare». (Dror A. Mishani, Un'ipotesi di violenza, 2013, Guanda, 2015)
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