Trovarsi a vendere in questi tempi strani è una di quelle situazioni in cui rischi di cadere nella trappola mentale del dire di si a tutte le richieste.
“Dammi uno sconto”.
“Fammi avere un anticipo di consegna”.
“Consegnami un prodotto od un servizio diverso da quello di tutti ma fammelo costare uguale...o meno”.
D’altro canto chi ti delega a vendere si trova alle prese con margini risicati e strozzati si aspetta che tutto ciò che rappresenta un valore aggiunto per il cliente venga pagato.
Bella situazione quella dello stare in mezzo.
La società low cost contro la continua evoluzione dei prodotti.
La monarchia del consumatore contro il tentativo aziendale di produrre killer application (*), generalmente frutto di grandi costi di ricerca, e per la loro innovatività impermeabili alla richiesta di sconti o abbuoni.
Chi vince chi perde?
Ogni caso è a sé ma rimane che nel ruolo di venditori professionisti dobbiamo pur tirarci fuori dalla filosofia spicciola del “que serà serà”.
Ho imparato a mie spese e a spese del fatturato che dire sempre “si” non paga.
Ma dire di si è una di quelle attività sociali che ci insegnano fin da piccoli e che viene remunerata ampiamente per lungo tempo.
Viene remunerata ampiamente finché non cambia il mondo e tu, soldatino obbediente a routine programmate ti ritrovi alle prese con un cliente che, non solo, vuole ma può rotearti sulla punta delle dita come un cubo di rubik.
E come un cubo di rubik può scomporre e ricomporre i colori della tua distinta costi spremendoti fino all’ultima goccia di margine, provvigioni comprese.
Allora il dire di sì non è più la strategia che paga, se mai lo è stata.
Perché è una strada senza ritorno, soprattutto per il venditore , che si trova all’incrocio tra interessi apparentemente contrastanti fra chi compra e chi vende.
Il “si” ingenuo e sempliciotto con cui si tenta di blandire il cliente è una scappatoia per quelli che non hanno la forza di fare comprendere il vantaggio e la convenienza di fare un patto con loro e/o l’azienda che rappresentano.
Peccato che sia una scappatoia dove alla fine come premio c’è una ghigliottina.
E non occorre fantasia per capire di chi sarà la testa da porre sul ceppo.
La strategia che paga di più è sapere dire di no.
Comprendo che sia contro-intuitiva, ma pensateci meglio.
Imparare a dire di no con capacità e proattività è molto meglio che dire sempre si.
Tutti sanno dire si.
Pochi sanno dire no.
Il venditore che sa dire di no è merce rara e quindi preziosa.
Le aziende lo sanno credetemi e sono stanche di cedere margini per motivi che non siano inevitabili sul serio.
Lo sanno anche i clienti, perlomeno quelli con cui si può costruire un rapporto continuativo. Se dite di no a condizioni inaccettabili, potete perdere un affare ma non perderete la loro stima, cosa che succede nel caso inverso.
Se poi veramente perderete un cliente per sempre è probabile che non lo sarebbe stato comunque. Non era permeabile alla vostra azione e al vostro prodotto.
Dire di no fa aumentare la stima che riponete in voi stessi perché misura quanto credete nelle vostre capacità
A sapere dire di no potete risparmiare tempo da situazioni senza uscita per dedicarvi a qualcos’altro che produrrà margine.
Riuscire a dire di no a condizioni che non rispondono a logiche economiche, nel grande gioco del mercato, è simile alla capacità di palleggiare con entrambe le mani nel basket. Conviene comunque.
Il venditore che non decide che lui stesso è un elemento attivo e responsabile all’interno del processo negoziale che lega la fonte con il mare non riuscirà mai a dire no.
A volte dovrà dire di no anche all’azienda che rappresenta e questo è ancora più delicato e da professionista.
Un passacarte non deve sapere dire no.
Un mediatore culturale sì.
Per il fatto che ci sono condizioni accettabili e inaccettabili da entrambe le parti.
Ma il mediatore capace ha radici profonde e ben piantate nei suoi convincimenti, valori e speranze .
Lavora per un futuro migliore per tutti.
E il futuro migliore non passa solo per i si.
Anzi, passa soprattutto attraverso i no, che sono piccole rivoluzioni fondate sulla fede in ciò che si fa e nel progetto complessivo.
Avere un progetto che faccia bene a tutti coloro coinvolti.
Esserne convinti.
Rispettarsi e spingersi un po’ più in la delle banalità e delle scorciatoie.
Ecco come fare in modo che dire un sensato ed utile no sia più facile che dire un superficiale e dannoso si.
O no?
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(*) Il termine di 'killer application' significa letteralmente applicazione assassina e viene intesa nel senso metaforico di applicazione decisiva, vincente. Essa si riferisce a un prodotto di successo costruito su una determinata tecnologia, grazie al quale la tecnologia stessa penetra nel mercato, imponendosi rispetto alle tecnologie concorrenti.
*** Sebastiano ZANOLLI, senior management consultant e saggista, Ho imparato a mie spese e a spese del fatturato che dire sempre “si” non paga., 'linkedin.com/pulse', 31 agosto 2015, qui
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