Maurizio DE GIOVANNI, Anime di vetro, Einaudi, 2015
pagine 394, € 19,00, ebook € 9,99
E' il mio primo incontro col commissario Ricciardi, che pure so protagonista di parecchie vicende. E anch'io, come mi pare sia per la maggior parte dei lettori più affezionati, sono rimasto intrappolato, oltre che dalla storia in sé, dall'atmosfera che sembra pervadere i suoi romanzi; e, in questo caso, dal linguaggio, caldo, emozionale, a tratti poetico.
Devo confessare che durante lo sviluppo della trama ho avuto qualche momento di impazienza: avrei voluto maggiore speditezza e meno insistenza sugli aspetti di depressione del commissario, che sentivo un po' ripetuti e sempre (per me un po' troppo inverosimilmente) riportati alla morte della 'tata' Rosa, la figura fondamentale della sua fanciullezza. Ma il finale, complesso, sorprendente, mirabilmente descritto, mi ha abbondantemente ripagato.
E poi, certamente, non può non sedurre e appassionare la persona-Ricciardi: per come viene seguita dall'autore con partecipazione intensa, nel suo malessere psicologico, ma anche nella sua modalità di investigare, testarda, apparentemente casuale e invece sempre riflessiva e acuta.
Ben scavate anche le figure che stanno attorno al commissario, ma non sono di contorno: le donne, soprattutto, e il 'fidato' e affezionato brigadiere, sempre preoccupato di 'proteggere' il suo capo anche da se stesso.
Infine una nota di merito per la suggestività di una celebre e antica canzone napoletana del 1906 (di Salvatore Di Giacomo e Francesco Bongiovanni), che 'colora' lo scorrere del romanzo, aggiungendo anche, almeno all'inizio, per come viene introdotta, un tono di ulteriore mistero al mistero che fa da oggetto del racconto.
Massimo Ferrario, per Mixtura
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Notte, aria dolce e canzoni. Una volta mi bastavano per essere felice. No, non è vero, non mi bastavano: mi serviva quell’ansia allegra, quell’attimo di dolorosa aspettativa. Perché è quello, il gioco: l’attimo dell’attesa. Meglio del vino, meglio dell’oppio, meglio di due puttane insieme. Quando quattro cavalli fanno l’ultima curva e si presentano sul rettilineo, testa contro testa, bava alla bocca, schiuma sul manto. O quando i dadi rotolano irregolari, saltando e inclinandosi: su una faccia la fortuna e sull’altra la disgrazia. Quando la pallina gira cercando il numero giusto, che sfiora e manca per depositarsi sulla casellina sbagliata. Quando ti consegnano una coppia di carte e tu ne sollevi un angolo, il cuore in gola. (Maurizio De Giovanni, Anime di vetro, Einaudi, 2015)
C’è un momento, nella notte, che è un diaframma. Non è lo stesso per tutti, naturalmente. Arriva quando il territorio della coscienza diventa indistinto, come quando in un’alba d’inverno si cammina in campagna e la nebbia nasconde le cose in mezzo ai sogni. In quel momento le paure si fanno strada in mezzo alle decisioni e le sgretolano, una pietra alla volta, per mettersi a costruire i sogni che seguiranno e che, la mattina, si dissolveranno silenziosi. In quel momento le sicurezze cessano di esistere, la fame è meno urgente, perfino il dolore si fa da parte per lasciar passare le passioni più lontane, quelle che abbiamo chiuso dietro la porta della ragione. Lo conoscono le madri, quel momento, e passano la mano sulla fronte dei bambini per distendere gli occhi e le anime, per lasciar immaginare che ci siano loro stesse dietro la nebbia e che quindi ci si possa addentrare confortati dal ricordo della tenerezza. Accade che ci si senta forti, in quel momento. Che sembri possibile abbattere gli ostacoli senza sforzo, risolvere le questioni senza dubbi. O che ci si senta deboli, e ogni ostacolo sembri una montagna senza appigli e senza scappatoie. Accade di aver paura di sentirsi forti. Di aver paura di non farcela, a mantenere una decisione. Ma ancor più di avere paura di farcela. (Maurizio De Giovanni, Anime di vetro, Einaudi, 2015)
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