Aveva cominciato in primavera, quando le giornate iniziavano a intiepidirsi e il sole lanciava i nuovi raggi, morbidi come lana e trasparenti come vetro. Poi aveva proseguito per tutta l’estate, quando il cielo si era fatto cobalto e il vento per fortuna mitigava il caldo che intorpidiva anche a quell’altezza.
Ci si metteva di prima mattina, fino a mezzogiorno. Oppure nel secondo pomeriggio, fino al tramonto.
Sistemava colori e pennelli accanto a sé, su un masso piano, mentre, seduto su una vecchia sedia malandata, sulla roccia più alta, proprio a un passo dal precipizio, con il vaso di terracotta sulle gambe, il viso rivolto alla valle, incideva, disegnava, pennellava.
Erano vasi di ogni foggia e dimensione. Glieli aveva portati, grezzi e appena usciti dalle sue mani, a dorso di mulo, il vasaio del paese, che era salito da lui appena i boschi avevano sciolto il ghiaccio e riaperto il sentiero.
Anche quell’anno Piccolo Uomo era arrivato a trovare Grande Vecchio: non aspettava altro che la fine delle scuole per passare le vacanze sulla Montagna Più Alta.
Facevano passeggiate. Andavano per funghi. Raccoglievano fragole e more. Cucinavano le provviste che i montanari non facevano mai mancare a Grande Vecchio.
Ma soprattutto parlavano: «Grande Vecchio sa parlare della vita», diceva Piccolo Uomo ai suoi amici quando ritornava a valle e loro gli chiedevano come mai si divertisse tanto a stare con lui.
E poi, sembrerà strano, ma Piccolo Uomo si godeva la vista di Grande Vecchio mentre ogni giorno era intento a ricamare le terracotte. Sedeva spesso in silenzio accanto a lui: gli porgeva i pennelli, osservava il farsi della pittura.
Erano decorazioni, orpelli, fronzoli. Ma anche figure umane e di animali: veri e di fantasia. A Piccolo Uomo piacevano soprattutto questi ultimi: draghi che sbuffavano fuoco, elfi, streghe, maghi, orchi.
Mentre dipingeva Grande Vecchio sembrava rapito: ogni tanto abbracciava con lo sguardo il panorama, aspirava ed espirava a pieni polmoni l’aria spazzata degli abeti, come per alimentare la sua fantasia creativa, e poi riprendeva a dipingere.
«A fine estate, prima che la scuola ricominci, giù all’altopiano è festa. Mi aiuterai a portare i vasi al mercato?».
«Certo, Grande Vecchio. Ho il mio zaino», rispose Piccolo Uomo, orgoglioso di poter essere di aiuto.
L’ultima settimana di agosto il villaggio costituito dalla decina di case a mezza costa celebrava la fine dell’estate. L’unica via che l’attraversava era tutta infiocchettata di festoni e stipata di bancarelle inghirlandate. La gente era tanta: salita anche dal paese che stava in valle. Grande Vecchio e Piccolo Uomo procedevano con i loro zaini sulle spalle. Lo spazio era piccolo e la gente tanta: tra i banchetti ci si muoveva a fatica.
Grande Vecchio si guardava attorno, cercava qualcosa o qualcuno, ma senza risultato. Poi, finalmente lo vide.
Era un piccolo carretto, all’angolo di una casa: chi arrivava dalla valle lo trovava tra le prime bancarelle. Accanto, in piedi, il Vasaio. Il piano del carretto era vuoto: solo tre vasi, di tre diverse dimensioni, in terracotta.
Il Vasaio salutò Grande Vecchio inchinandosi e congiungendo le mani; Grande Vecchio fece altrettanto e presentò Piccolo Uomo, carezzandogli la nuca. Il Vasaio aiutò a svuotare gli zaini: con delicatezza, pose ogni vaso sul carretto.
Erano di una bellezza incomparabile. Colori vividi, sgargianti, messi a contrasto con colori tenui, morbidi. Decorazioni elaboratissime, eppure semplicissime. E poi una quantità di figure emozionanti: umane, animalesche, di fantasia. C’era di tutto.
Il Vasaio era entusiasta: conosceva, come tutti, la saggezza di Grande Vecchio, ma ignorava la sua capacità artistica.
Subito, si formò un capannello di persone davanti al carretto: guardavano estasiati. Volevano toccare, prendere in mano per rimirare meglio la bellezza di ogni decorazione. Grande Vecchio faceva segno di sì con la testa, e le persone, timidamente, sfioravano, tastavano, palpavano. Alzavano i vasi per vederli meglio, li osservavano in controluce.
Gli abitanti della valle erano tutta gente povera, che viveva di terra e di animali: pochi si sarebbero potuti permettere l’acquisto anche dei semplici vasi in terracotta.
Ma un signore, che appariva provenire dalla città, volle sapere i prezzi.
Il vasaio e Piccolo Uomo guardarono interrogativamente Grande Vecchio.
«Stasera, a fine festa. Se vuole comprare, torni al tramonto», annunciò Grande Vecchio, un po’ misteriosamente.
Il sole stava calando.
Durante la giornata tutti i partecipanti alla festa avevano avuto modo di passare davanti al carretto e di vedere e commentare la bellezza dei vasi in mostra.
Puntuale, si ripresentò il signore interessato a comprare.
Grande Vecchio chiese al Vasaio a quanto volesse vendere i suoi vasi grezzi.
Il Vasaio rispose. «Cinque denari».
Grande Vecchio guardò in faccia il signore. «Ha sentito? Cinque denari è la cifra richiesta dal vasaio per il suo lavoro».
Il signore non capiva.
E anche il Vasaio e Piccolo Uomo non capivano.
«Cinque denari è il prezzo dei vasi in terracotta?», chiese la persona.
«Esatto», rispose Grande Vecchio.
«Ma i vasi decorati?».
«Cinque denari ognuno», rispose Grande Vecchio.
Il Vasaio era sicuro che ci fosse un equivoco e decise di intervenire:
«Ma Grande Vecchio, non è possibile che i vasi grezzi costino quanto quelli decorati. E il tuo lavoro, allora…?».
«Il mio lavoro», rispose Grande Vecchio, «è stato un divertimento.»
Anche Piccolo Uomo non riuscì a stare zitto: «Però la tua arte, Grande Vecchio… Questi vasi sono di una bellezza incredibile…».
Grande Vecchio sorrise:
«Temo che un po’ esageriate. Anche se ammetto che questi vasi mi siano riusciti abbastanza bene. Merito soprattutto dell’ispirazione: il profumo dei boschi e il vento terso della montagna hanno nutrito la mia anima. Però appunto: se qui, tra questi vasi, c’è qualcosa che assomiglia alla bellezza, la bellezza non si paga. Si paga il lavoro, non si paga il piacere: la bellezza è gratis».
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