Era da un po’ che Piccolo Uomo, di sottecchi, guardava Grande Vecchio.
Il fuoco crepitava, Grande Vecchio stava caricando la pipa.
«Cosa c’è, Piccolo Uomo?»
Piccolo Uomo si sorprese. «Come cosa c’è?».
«Sento che mi vuoi chiedere qualcosa. Ma non hai ancora deciso se chiedermela…».
«E tu come fai a saperlo?».
«Non lo so, infatti. Mi sembra… Però posso sbagliarmi. E in questo caso ti chiedo scusa se ti ho disturbato…».
Grande Vecchio era sincero. Aveva finito di caricare la pipa. Ora aveva preso uno stecco di legno dal camino e se la stava accendendo.
Piccolo Uomo sorrise.
«Hai sempre ragione…».
«Allora è grave: mi dovrò cominciare a preoccupare», commentò Grande Vecchio, tirando la prima boccata.
Fece una lunga ispirazione: gli piaceva farsi entrare nei polmoni il fumo amaro del tabacco.
«Preoccupare di cosa?».
«Del fatto che ho sempre ragione. Se è così davvero, c’è qualcosa che non va».
«A me hanno insegnato che è bene cercare di aver sempre ragione».
«Chi te lo ha insegnato?», si incuriosì Grande Vecchio.
«I miei genitori. Il mio papà, soprattutto».
«Anche i papà ogni tanto sbagliano. E non per questo smettono di essere dei buoni papà».
«Non bisogna voler avere sempre ragione?»
«Forse sarebbe meglio tentare di aver sempre delle ragioni. Il plurale garantisce di più del singolare. Ma qualche volta anche le ragioni sono sbagliate. In questo caso non si ha ragione neppure con il plurale… ».
Piccolo Uomo rimase zitto. Grande Vecchio poteva quasi sentire il suo cervellino in movimento. Era un bambino che amava riflettere. In particolare, lui lo sapeva, non perdeva una parola delle sue parole.
«Comunque» riprese Piccolo Uomo «stavolta avevi intuito bene. Ti volevo fare una domanda, ma non sapevo se fartela…».
Grande Vecchio lo rincuorò. «Sai che puoi chiedermi di tutto. Le risposte non sempre sono all’altezza delle domande, ma ce la metterò tutta…».
Piccolo Uomo colse più ironia di quella che Grande Vecchio aveva messo nella battuta e si sentì rinfrancato.
«Ecco la domanda, Grande Vecchio. Questa è la terza estate che passiamo insieme. Tu lo sai, io ti voglio molto bene e provo per te una stima che non ho per nessun’altra persona. Tu sei così equilibrato… Sei sempre pacato, sereno, tranquillo. Come fai a essere sempre così ‘giusto’…?»
Grande Vecchio chiese a Piccolo Uomo di avvicinarglisi e lui obbedì, rannicchiandoglisi accanto.
«Vedi, questo è il male del bene», disse.
«Il male del bene?», ripeté Piccolo Uomo, alzando la testa senza capire.
«Già. Anche il bene, il tuo affetto per me in questo caso, può diventare male, o fare male. Per esempio perché porta a travisare la realtà. Io non sono ciò che credi di vedere. Non sono questa persona così pacata e saggia che tu vedi. E’ vero, io aspiro all’equilibrio. Ma l’equilibrio, più che uno stato, è un processo. Un punto dinamico, instabile. C’è e non c’è, si raggiunge e si perde.»
Grande Vecchio si zittì. Ma Piccolo Uomo sentiva che era solo un pausa che gli serviva per mettere insieme le riflessioni. «Anche se…»
Grande Vecchio meditava. Piccolo Uomo gli concesse qualche secondo, poi riprese: «Anche se…?»
«Se tu credi di vedermi così, forse vedi qualcosa. E questo qualcosa può essere male. Il male del troppo. Conosci il proverbio?».
Piccolo Uomo lo ricordava. Glielo ripeteva sua nonna: il troppo stroppia.
«Troppo equilibrio è male?», chiese Piccolo Uomo.
«Sì», rispose Grande Vecchio. «L’equilibrio non è più equilibrio, ma finzione, forzatura, rigidità. E la rigidità è innaturalità. Non è più vita, ma morte».
Rimasero silenziosi. Grande Vecchio seguiva le boccate di fumo che salivano, Piccolo Uomo stava ravvivando il fuoco.
Giravano in ambedue molti pensieri sospesi.
«Sai la storia dei due animali che nutrono la nostra anima?» chiese Grande Vecchio.
Piccolo Uomo si predispose ad ascoltare. «Viene dai saggi dell’Oriente. Dice che ci sono due animali che danno da mangiare alla nostra anima. E che si combattono per nutrirla. Uno è aggressivo, vendicativo, prepotente, violento. L’altro è dolce, remissivo, gentile, sensibile. Se vince il primo animale, siamo egoisti, arroganti. Se vince il secondo, siamo altruisti, comprensivi, generosi, pronti ad essere in armonia con il mondo e con gli altri».
Grande Vecchio si concentrò sulla pipa: con il ferretto premeva il tabacco nel fornello.
Piccolo Uomo credette di concludere. «Ma se tutto dipende dagli animali, dipende dal destino… Dobbiamo affidarci al caso».
Grande Vecchio mosse lentamente la pipa nell’aria, in orizzontale, come a farle dire no. «Gli animali nutrono l’anima. Ma chi nutre gli animali siamo noi. Dipende da quale animale nutriamo».
Il fuoco nel camino perdeva vigore.
Piccolo Uomo, cui il tepore stava per socchiudergli gli occhi, sentì Grande Vecchio che bisbigliava: «Un’ottima domanda, Piccolo Uomo, quella sull’equilibrio... Già, il male del troppo… Dovrò starci attento…».
*** Massimo Ferrario, 2009 - Elaborazione originale a partire da un'idea espressa nell'antico racconto sui due animali, sopra citato, di autore anonimo, riportato anche da Lothar J. Seiwart, E adesso fermati. Impara l'arte di vivere senza fretta, 2003, Sperling & Kupfer, Milano, 2005.
Nessun commento:
Posta un commento