L'abuso insopportabile della parola 'resilienza' ci grida una verità sottaciuta, forse finalmente da consapevolizzare: abbiamo rinunciato ad agire sul mondo per modificarlo e abbiamo scelto di assumere il mondo per quello che è, adattandoci ad esso e di fatto facendolo nostro in ogni suo aspetto, anche in quelli per noi deleteri.
'Resistenza', come ricorda la Storia almeno a noi italiani, indica un'azione di contrapposizione attiva: per abbattere un sistema socio-politico che in quel momento era realtà e ai più appariva intollerabile e per creare, combattendo, le premesse per instaurare un regime politico che 'andasse oltre'.
'Resilienza', invece, come ci dice la fisica dei metalli, indica un'azione passiva, secondo un'immagine presa a prestito da 'oggetti' e non da soggetti umani: evoca, ponendolo come ottimo esempio da imitare, il 'rimbalzo', intrinseco a certi tipi di metalli quando vengono piegati, che ci faccia tornare più o meno a come eravamo prima, spingendoci ad 'assorbire' il colpo cui siamo stati sottoposti da evenienze esterne che ci hanno obbligato a inchinarci al 'duro dato di realtà'.
Siamo nella linea psicologistica imperante.
Guai a pensare di agire sulla realtà negativa, per renderla diversa da come è: per trasformarla, modificarla, migliorarla.
Il messaggio, ancora una volta, si declina in due modi: 1) accogliere con positività ciò che il destino, il fato, la sorte ci riservano (ovviamente chi parla più della struttura materiale prodotta da esseri umani che hanno il potere economico di costruire la realtà in un certo modo e non in un altro?); e 2) ritornare in fretta, come una frusta che recupera il suo stato di smagliante erezione, a ciò che eravamo prima del colpo cattivo del caso.
Insomma: il problema non è mai fuori, ma sempre e solo dentro di noi.
Anche quando si parla di integrazione della realtà, in effetti è assimilazione: sempre e comunque 'vince' (deve vincere) la realtà esterna così com'è e a noi sta l'unica possibilità di soccombere o 'arrenderci'. Magari benevolmente e, per carità, sempre pacificamente e mai 'divisamente': con resilienza.
E' tanto forte questo imperativo che anche il Piano nazionale di ripresa post-pandemico non ha potuto fare a meno, nel suo orribile acronimo (PNRR), di evocare la seconda erre: non si sfugge, caro destino, dacci oggi la nostra 'resilienza' quotidiana.
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