Nell’antropologia neolib, l’unità-individuo è un’unità-impresa e l’individuo è il proprietario di se stesso. Non è certo un’idea che viene spontanea agli esseri umani, quella di entrare in relazione con se stessi in termini di proprietà. Io personalmente non mi sono mai visto come un proprietario di me stesso, non mi sono mai guardato allo specchio valutando la mia proprietà, o la proprietà di me. Anzi, il termine “proprietà” pare straordinariamente non pertinente se applicato al rapporto del sé con sé.
La prima conseguenza di quest’impostazione è che siamo tutti proprietari, dal bracciante messicano al minatore nero sudafricano al banchiere di Wall Street. Ma di cosa esattamente siamo proprietari, quando per esempio non possediamo denaro né oggetti materiali? Siamo proprietari di noi stessi: cioè noi stessi costituiamo il nostro proprio capitale. Ognuno è proprietario di sé, cioè del proprio capitale umano: proprietario della propria impresa, cioè di sé, che investe il suo capitale: da qui la nozione di capitale umano: “La specificità del capitale umano è che è parte dell’uomo. È umano perché è incarnato nell’uomo, e capitale perché è fonte di future soddisfazioni, o di futuri guadagni, o ambedue”.50 Il capitale umano sta all’economia come l’anima sta alla religione: come secondo le varie fedi, ogni persona ha un’anima – non si vede ma c’è –, così in ognuno di noi c’è un “capitale”, invisibile, immateriale, che intride l’individuo imprenditore di se stesso. Siamo tutti capitalisti quindi, dal lavapiatti immigrato all’oligarca russo.
Ma se anche i proletari sono capitalisti, seppure di solo capitale umano, allora non c’è da un lato il capitalista che compra la merce-lavoro al proletario e dall’altro il proletario che vende la propria merce-lavoro al capitalista. Ci sono solo due capitalisti che in modo diverso ricavano un reddito dal proprio capitale (l’uno dal capitale economico, l’altro dal capitale umano). Non c’è più sfruttamento del lavoratore da parte del capitalista, ma c’è autosfruttamento del lavoratore-capitalista-di-sé. Tutte le categorie concettuali tradizionali, come sfruttamento e alienazione, vengono meno e la loro cancellazione mina alla base, teoricamente, il movimento operaio, la cui sconfitta va ben al di là della contingenza storica dovuta alla scomparsa dei partiti e dei sindacati che lo rappresentano politicamente. È una sconfitta teorica e concettuale, perché in questa nuova visione dell’economia il lavoro diventa un reddito da capitale. In Spagna si diceva un tempo todos caballeros, ora nel migliore dei mercati possibili si dice todos capitalistas! La lotta di classe non c’è più, semplicemente perché non ci sono due classi diverse, ci sono solo capitalisti.
*** Marco D'ERAMO, giornalista, saggista, Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi, Feltrinelli, 2020
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