Non è così futile come parrebbe la questione del fondo del letto. Vi ricordate da bambini? A quell’epoca si aveva una curiosità straordinaria. Poter conservare la stessa curiosità per una ventina di anni e si diventerebbe la persona più erudita di questo mondo. Certe sere, a quei tempi, entrati che si era nel letto, con la luce ancora accesa, ci si ficcava completamente sotto le coperte e strisciando tentavamo di esplorare le negre cavità più profonde, là dove dormendo si tengono i piedi e anche più avanti. Ivi sono le massime tenebre senza remissione, così fisse e totali che ci spaventavamo. Che cosa c’era laggiù in fondo? Smisurate caverne? Una porticina segreta che immetteva nel giardino del re? Un drago addormentato? E aveva realmente un termine la cavità? (Questo era il pensiero più inquietante.) Oppure non si sarebbe mai riusciti a raggiungere la fine e, avventurandoci troppo, avremmo rischiato di non poter tornare più indietro? Appena sprofondati nel buio, tutto il rimanente, la casa, i genitori, la scuola, la bicicletta diventavano estremamente lontani. Si era all’estero, senza esagerazioni. Qualche volta, per esserci spinti molto addentro nell’abisso, veniva il batticuore. In quel buio cavernoso tutto era possibile. A un certo punto per la mancanza di aria ci prendeva l’affanno. Si aveva quasi l’impressione che dal fondo della spelonca gli spiriti muovessero verso di noi. Con ansia si risaliva, dopo complicati contorcimenti, in direzione della presunta luce.
*** Dino BUZZATI, 1906-1972, giornalista, scrittore, pittore, drammaturgo, librettista, poeta, In fondo al letto, da In quel preciso momento, 1950, Mondadori, 2013
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