Il soggetto di prestazione è libero dall’istanza esterna di dominio, che lo costringerebbe a svolgere un lavoro o semplicemente lo sfrutterebbe. È lui il signore e sovrano di se stesso. Egli, dunque, non è sottomesso ad alcuno se non a se stesso. In ciò si distingue dal soggetto d’obbedienza. Il venir meno dell’istanza di dominio non conduce, però, alla libertà. Fa sí, semmai, che libertà e costrizione coincidano. Cosí il soggetto di prestazione si abbandona alla libertà costrittiva o alla libera costrizione volta a massimizzare la prestazione. L’eccesso di lavoro e di prestazione aumenta fino all’auto-sfruttamento. Esso è piú efficace dello sfruttamento da parte di altri in quanto si accompagna a un sentimento di libertà. Lo sfruttatore è al tempo stesso lo sfruttato. Vittima e carnefice non sono piú distinguibili. Questo carattere autoreferenziale genera una libertà paradossale che, in virtú delle strutture costrittive a essa connaturate, si rovescia in violenza. Le malattie psichiche della società della prestazione sono appunto le manifestazioni patologiche di questa libertà paradossale.
*** BYUNG-CHUL Han, 1959, filosofo e docente coreano residente in Germania, La società della stanchezza, Nottetempo, 2020
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