lunedì 7 settembre 2020

#SENZA_TAGLI / I pensieri orrendi, evitiamo di esibirli in pubblico (Vera Gheno)

Penso che gli esseri umani siano fatti di pensieri altissimi e pensieri triviali. E ritengo che questo ci accomuni un po' tutti. Siamo capaci di slanci verso l'iperuranio, come pure di razzolare nella melma puteolente dei pensieri più deprecabili. 

E allora come cavarsela? Qual è la soluzione? Smettere di avere pensieri brutti? Sarebbe molto bello, ma probabilmente è pura utopia: rassegniamoci all'esistenza, in noi, di una "parte cattiva", e impariamo, piuttosto, a gestirla. 

Secondo me, è importante riuscire a mettere un filtro tra il pensiero orrendo che possiamo avere e la sua esternazione. Abbiamo la libertà di pensare quello che vogliamo, ma tale libertà si dovrebbe scontrare poi con il setaccio del buonsenso: cosa possiamo portare "in pubblico" di quei pensieri? E soprattutto: abbiamo consapevolezza di quando e quanto siamo in pubblico? Per esempio, siamo consapevoli del fatto che scrivere un pensiero su un social network equivale a tutti gli effetti a stare in pubblico, anche se abbiamo un profilo privato?

Riprendo un paragone che faccio spesso: nel tinello o nel salotto di casa nostra siamo liberi, più o meno, di dire quello che pensiamo senza troppi filtri: è probabile, infatti, che al massimo saremo circondati di persone che sono in qualche relazione con noi, che ci vogliono bene, che sanno chi siamo... e che quindi saranno pronte a ricevere anche la battuta oscena, il commento offensivo per qualche categoria, la barzelletta triviale, contestualizzandoli all'interno di ciò che rappresentiamo per loro. I nostri familiari, i nostri amici, conoscendoci più o meno bene, non ci giudicheranno in base a quell'unica cosa orrenda che possiamo avere detto o scritto. Sanno che magari stiamo scherzando, o siamo arrabbiati; sanno che non siamo davvero la persona che potremmo sembrare in base a quell'unica uscita infelice, o comunque fatta a cuor leggero.

Il problema nasce se quella stessa uscita infelice la facciamo in un contesto pubblico, appunto; per continuare il paragone domestico, se usciamo in terrazza. Il nostro terrazzino può affacciarsi su una corte interna (nel caso avessimo un profilo social privato) oppure su una pubblica piazza (se, viceversa, abbiamo un profilo social "aperto"). In questi casi, chi non ci conosce potrebbe giudicarci (male) in base a quell'unica cosa orribile che abbiamo detto o scritto senza pensare fino in fondo alle conseguenze del nostro atto comunicativo. Cambia la dimensione del pubblico, ma siamo comunque in pubblico.

Il pensiero orrendo viene pubblicato su un nostro canale social, dove è sottoposto a una prima decontestualizzazione (non ci siamo noi, con la nostra presenza fisica, ad aggiustare il tiro rispetto a quella dichiarazione); poi quello stesso pensiero orrendo inizia a girare su altri profili e altri media, subendo una seconda decontestualizzazione (non è più nemmeno sul nostro profilo, ma viaggia ormai in maniera completamente indipendente da tutte le altre informazioni che ci riguardano). 
Che cosa succede? Succede che agli occhi di chi non ci conosce noi *diventiamo* quel pensiero orrendo. La nostra reputazione finirà per risentirne, dato che agli occhi di molti risulteremo appiattiti su quell'unica cosa deprecabile, che magari avevamo detto con leggerezza e che in realtà non ci connota per nulla.

Mi sento di richiamare - me stessa e chi mi legge - alla piena consapevolezza di ciò che diciamo e scriviamo in pubblico, e alla responsabilità rispetto alle conseguenze dei nostri atti di comunicazione. Soffermiamoci un attimo a pensare se riusciremo a "reggere" quella "cosa" che stiamo per mettere in pubblico, o se potremmo venirne travolti. 

Non possiamo smettere di avere pensieri orrendi, oltre a quelli stupendi, ma possiamo evitare di esibirli a cuor leggero in pubblico. In altre parole, possiamo girare nudi per casa nostra, ma magari evitiamo di uscire in terrazza in costume adamitico.

*** Vera GHENO, sociolinguista, facebook, 4 settembre 2020, qui


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