Ognuno di noi è portatore di un Sé (così lo chiama Carl Gustav Jung, mentre James Hillmann, per differenziarsene, lo chiama, ‘la ghianda’), qualcosa di misterioso e potentissimo che ha a che fare con la sua storia e con il suo destino. E che lo costituisce come persona, unica e irripetibile. Il Sé, pur essendo assolutamente personale, si gioca, si rafforza e realizza nel rapporto, affettivo oltre che cognitivo, con gli altri. (...)
Certo, è difficile tenere vive entrambe queste direzioni di ricerca ed espressione, quella verso il dentro, introspettiva, e quella verso il fuori, per gli altri. Eppure nella nostra tradizione, questo è illustrato con precisione dalla vicenda di Gesù, che spende se stesso per gli altri, ma poi sul più bello manda via tutti e sale sul monte, da solo. Ognuno di noi vorrebbe che tutto fosse più semplice e ci consentisse la nostra inclinazione preferita: o perderci negli altri, o farci gli affari propri. Invece, si tratta di due movimenti psicologici e affettivi di cui abbiamo bisogno, anche se sembrano andare in senso opposto. La relazione con gli altri ci assicura la linfa vitale per far crescere i nostri talenti e le nostre inclinazioni nell’umano. Ma noi siamo il nostro Sé, e non possiamo scavalcarlo, non ascoltarlo. Tutto ciò, tuttavia, si scopre davvero proprio nella seconda metà della vita.
*** Claudio RISE', 1939, psicoanalista di matrice junghiana, saggista, rubrica ‘psiche lui’, ‘Io Donna’, 22 settembre 2007
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