L’ospedale ha assunto un nuovo psichiatra: è un giovane che ha appena terminato la specializzazione.
E' motivato, appassionato, desideroso di imparare. E teso a dare il massimo per aiutare chi soffre.
Proprio oggi compie il primo mese di lavoro.
Ora, come sempre, si trova a tavola con i colleghi più anziani alla mensa dell’ospedale.
Mentre mangiano, tutti chiacchierano.
Lui è pensieroso: porta in bocca il cibo, ma sembra neppure accorgersi di quello che sta mangiando.
Non che gli altri giorni fosse molto più socievole, ma oggi è davvero assente.
Ha l’aria affranta: e finora aveva sempre tenuto per sé i suoi problemi.
Gli altri notano il suo isolamento ancora più difeso del solito. E si interrogano sul suo umore particolarmente cupo.
Il collega più anziano non resiste e decide di domandargli esplicitamente cosa lo preoccupi.
Il giovane, prima, ha un po’ di remore.
Poi, si lascia andare.
«No, niente, tutto bene. Il lavoro mi piace ed è quello per cui ho studiato. Lo sento mio: fin da piccolo volevo fare lo psichiatra...»
«E allora?» insistono gli altri.
«E' che... sì, insomma, francamente, mi chiedo come facciate voi...».
«Come facciamo noi? A fare cosa, scusa?» lo interrompe il collega che gli è seduto accanto.
«Ma sì, io qui lavoro da un mese, in confronto a voi che avete anni di esperienza sulle spalle io sono un pivello, uno che deve macinarne di mestiere, e ho pure un numero di pazienti inferiore ai vostri, eppure voi vi vedo sempre allegri e frizzanti…».
«E come dovremmo essere, scusa?» si stupisce il collega più anziano, guardandosi in giro e esibendo platealmente agli altri tutta la sua meraviglia.
«Ci vorresti vedere depressi come i nostri pazienti?», interviene il collega seduto di fianco, con una risata fragorosa.
«No, però, non so…».
Il giovane è pentito di essersi lasciato andare: sente che manca il clima.
Vorrebbe fare marcia indietro: cerca di minimizzare.
«No, niente, scusate, dicevo così per dire...»
Il collega più anziano non ci sta.
«Be', adesso non puoi più tirarti indietro: devi sputar fuori il rospo. Non c'è mica bisogno di essere degli esperti per capire che hai dentro qualcosa che ti rode. Cosa c'è che non va?».
Il giovane lascia trascorrere qualche secondo.
Poi, visto che gli altri continuano a stare zitti in attesa delle sue parole, si decide.
E confessa.
«Io mi sento abbattutissimo... A fine giornata ho il morale a terra. Credevo che un po' fosse normale: i primi giorni... la nuova esperienza... E' un problema di rodaggio, mi dicevo. Invece, più passa il tempo e peggio è. Insomma, mi sembra di non farcela. Non vorrei pensarlo, ma comincio a credere che forse questo, anche se l'avevo tanto voluto, non sia del tutto il mio mestiere. Spero di sbagliarmi, naturalmente: ho sempre ritenuto di essere una delle poche persone fortunate che hanno una vocazione. E del resto non saprei che altro fare nella mia vita professionale.»
«E come mai provi quel che provi…?» domanda incuriosito il più anziano.
Il giovane approfitta del clima forse più disponibile che gli sembra essersi creato e interroga il collega che gli siede di fronte.
«Scusa, ma a te non capita mai di sentirti giù al termine di una giornata? Di avvertire, almeno ogni tanto, come un peso, qui dentro?»
«Veramente no.»
Il collega seduto accanto crede di fare una battuta, accompagnandola con una risata che cerca l'applauso degli altri.
«A me sì. Ma è quando qui a mensa mi faccio tentare dalla frittata con cipolle...».
Nessuno apprezza: chi ha voluto scherzare capisce che ha esagerato e si fa serio.
Qualche attimo di silenzio.
Tutti fissano il giovane in attesa che prosegua: sono curiosi.
E il giovane, sempre più pentito di aver iniziato la confidenza, sa ormai di dover concludere.
«A me invece capita regolarmente. Finisco le giornate con la testa in pallone. Ma soprattutto è come mi facesse male il cuore: mi sento sopraffatto dalla sofferenza dei pazienti. A furia di ascoltare tutti i loro guai, mi ritrovo ferito anch'io...».
I colleghi si guardano, con aria interrogativa.
Lasciano commentare il più anziano: che scuote vistosamente il capo.
«Ah, beh, certo, se li ascolti pure...».
*** Massimo Ferrario, Il giovane psichiatra, 2013-2016, per Mixtura - Riscrittura di una storiella famosa, diffusa anche in internet.
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